Start up innovativa: registrazione e requisiti aggiornati al 2025

Start up innovativa: registrazione e requisiti aggiornati al 2025

La disciplina della start up innovativa è stata introdotta con il Decreto Legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla Legge 17 dicembre 2012, n. 221, per sostenere la nascita e lo sviluppo di imprese ad alto contenuto tecnologico, favorire l’occupazione giovanile e incentivare la crescita del tessuto economico nazionale.
Una start up innovativa deve soddisfare precisi requisiti giuridici, economici e tecnologici, al fine di beneficiare delle misure di agevolazione previste dalla legge. In primis, la società dovrà completare la registrazione nella sezione speciale del Registro delle Imprese, un passaggio ineludibile per poter accedere agli incentivi societari e fiscali.

Il presente articolo ha l’obiettivo di fornire una guida sintetica sui requisiti per la start up innovativa e sulle modalità di iscrizione nella sezione speciale del Registro delle Imprese, in conformità alla normativa vigente. Nel prosieguo dell’articolo, verranno dunque illustrati i criteri di ammissibilità per ottenere la qualifica di start up innovativa, le caratteristiche richieste dalla legge, le modalità di iscrizione e gli obblighi di aggiornamento delle informazioni.

Verrà, inoltre, analizzata la disciplina specifica per le start up innovative a vocazione sociale, nonché il passaggio a PMI innovativa nel caso in cui l’impresa perda i requisiti per il mantenimento dello status.

Start up innovativa: i requisiti generali

La qualificazione come start up innovativa è subordinata al rispetto di una serie di requisiti normativi, delineati dall’art. 25 del D.L. 179/2012, che ne definisce le caratteristiche fondamentali. L’obiettivo del legislatore è quello di individuare un modello imprenditoriale altamente specializzato, caratterizzato da una significativa componente tecnologica e innovativa.

Ai fini della sua costituzione e del mantenimento della qualifica, una start up innovativa deve assumere la forma di società di capitali, anche in forma cooperativa, e non deve avere azioni o quote rappresentative del capitale sociale quotate su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione. Inoltre, deve essere costituita e operativa da non più di sessanta mesi, requisito che mira a garantire il sostegno alle sole imprese di recente formazione, coerentemente con la ratio della normativa.

Dal punto di vista territoriale, la start up innovativa deve essere residente in Italia, ai sensi dell’art. 73 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, o avere sede in uno Stato membro dell’Unione Europea o dello Spazio Economico Europeo, a condizione che disponga di almeno una sede operativa o una filiale sul territorio italiano. Tale vincolo è volto a incentivare l’attrazione di investimenti e competenze nel contesto nazionale, assicurando che l’attività imprenditoriale generi effetti diretti sull’economia italiana.

Sul piano economico, il legislatore ha introdotto ulteriori vincoli per qualificare un’impresa come start up innovativa. In particolare, il valore della produzione annua, a decorrere dal secondo anno di attività, non può eccedere la soglia di 5 milioni di euro, come risultante dall’ultimo bilancio approvato entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio.

Inoltre, la società non deve aver distribuito utili sin dalla sua costituzione e deve mantenere tale vincolo per l’intera durata del periodo in cui beneficia delle agevolazioni previste dalla normativa di riferimento.
Elemento essenziale per la qualificazione di start up innovativa è la finalità dell’attività d’impresa. La società deve avere quale oggetto sociale esclusivo o prevalente lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico.

Infine, per prevenire abusi e garantire l’effettiva innovatività del progetto imprenditoriale, è previsto il divieto di costituire una start up innovativa a seguito di fusioni, scissioni societarie o cessioni d’azienda o di ramo d’azienda. Questa disposizione mira a evitare che soggetti già operativi nel mercato si avvalgano in modo improprio delle agevolazioni previste dalla normativa, riservandole esclusivamente alle realtà di nuova o recente costituzione.

Start up innovativa: i requisiti tecnologici e di ricerca

Oltre ai requisiti di carattere giuridico ed economico, la normativa vigente impone alle imprese che intendano qualificarsi come start up innovativa il rispetto di specifici criteri volti a garantire l’effettivo carattere innovativo della loro attività. Tali criteri sono espressamente disciplinati dall’art. 25, comma 2 del D.L. 179/2012, e si riferiscono alla capacità dell’impresa di sviluppare prodotti o servizi a elevato contenuto tecnologico e alla presenza di un significativo investimento in ricerca e sviluppo.

Più precisamente, affinché un’impresa possa ottenere e mantenere lo status di start up innovativa, è necessario che rispetti almeno uno dei seguenti tre requisiti:

1) Investimenti in ricerca e sviluppo

La società deve destinare alle attività di ricerca e sviluppo almeno il 15% del maggiore valore tra costo e valore totale della produzione. Tale parametro è determinabile sulla base del bilancio annuale della società e, in assenza di bilancio nel primo anno di attività, può essere autocertificato dal legale rappresentante. Ai fini del calcolo di questa soglia minima, la normativa considera ammissibili diverse voci di spesa, tra cui:

  • costi relativi a sperimentazione, prototipazione e sviluppo del business plan;
  • spese per servizi di incubazione forniti da incubatori certificati;
  • costi lordi del personale impiegato in attività di ricerca e sviluppo, inclusi soci e amministratori con funzioni tecniche;
  • spese legali e amministrative per la registrazione e protezione della proprietà intellettuale.

2) Personale altamente qualificato

L’impresa deve impiegare, come dipendenti o collaboratori a qualsiasi titolo, una percentuale significativa di personale con una qualificazione accademica elevata. In particolare, è richiesto che almeno:

  • un terzo della forza lavoro complessiva sia costituito da soggetti in possesso di titolo di dottorato di ricerca, o che stiano svolgendo un dottorato presso un’università italiana o estera, o che abbiano svolto per almeno tre anni attività di ricerca certificata presso istituti pubblici o privati in Italia o all’estero; oppure
  • due terzi della forza lavoro complessiva siano in possesso di una laurea magistrale.

Un tale requisito mira a garantire che l’impresa disponga di un capitale umano altamente qualificato, in grado di sviluppare soluzioni tecnologiche avanzate e di contribuire all’innovazione nei settori di riferimento.

3) Tutela della proprietà intellettuale e industriale

La start up innovativa deve essere titolare, depositaria o licenziataria di almeno una privativa industriale afferente alla propria attività, come:

  • un brevetto per invenzione industriale o biotecnologica;
  • una topografia di prodotto a semiconduttori;
  • una nuova varietà vegetale;
  • un diritto d’autore su software registrato presso il Registro pubblico speciale per i programmi per elaboratore.

Questa disposizione è volta a incentivare lo sviluppo di nuove tecnologie e a rafforzare la competitività delle imprese innovative attraverso la tutela giuridica delle loro creazioni.

L’adempimento di almeno uno di questi tre criteri è condizione imprescindibile per ottenere e mantenere la qualifica di start up innovativa. La verifica del rispetto di tali requisiti avviene annualmente attraverso il deposito della dichiarazione di mantenimento dei requisiti presso il Registro delle Imprese.

Start up innovativa: le modalità di iscrizione nella sezione speciale del Registro delle Imprese

Con l’iscrizione nella sezione speciale del Registro delle Imprese la start up innovativa potrà accedere alle agevolazioni previste dalla normativa di riferimento. L’art. 25 del D.L. 179/2012 stabilisce che tale iscrizione si affianca alla registrazione nella sezione ordinaria.

La procedura di registrazione varia a seconda che si tratti di una società di nuova costituzione o di una società già esistente che intenda ottenere la qualifica di start up innovativa.

A. Iscrizione della start up innovativa di nuova costituzione

Nel caso di una società di nuova costituzione, la richiesta di iscrizione nella sezione speciale deve avvenire contestualmente alla registrazione dell’atto costitutivo presso il Registro delle Imprese.

La domanda di iscrizione deve essere presentata in forma telematica mediante Comunicazione Unica, trasmessa alla Camera di Commercio territorialmente competente. Tale comunicazione ha validità anche ai fini fiscali e previdenziali, in quanto viene automaticamente trasmessa anche all’Agenzia delle Entrate, all’INPS e all’INAIL.

L’iscrizione nella sezione speciale del Registro delle Imprese avviene in parallelo alla registrazione nella sezione ordinaria, costituendo una condizione essenziale per beneficiare delle deroghe al diritto societario e delle agevolazioni previste.

È prevista l’esenzione dal pagamento dell’imposta di bollo e dei diritti di segreteria per gli adempimenti legati all’iscrizione della società nel Registro delle Imprese, nonché l’esenzione dal pagamento del diritto annuale dovuto alle Camere di Commercio. Tuttavia, tale beneficio ha una durata limitata e non si estende oltre il quinto anno di iscrizione.

L’impresa deve avviare l’attività contestualmente alla sua costituzione. Qualora la start up innovativa non comunichi l’inizio attività al momento della registrazione, non potrà richiedere l’iscrizione nella sezione speciale e sarà soggetta ai normali obblighi fiscali e amministrativi previsti per le società di capitali.

Un ulteriore requisito imposto dal legislatore è l’obbligo di trasparenza. L’art. 25, comma 11 del D.L. 179/2012 impone infatti alla start up innovativa di rendere pubblicamente disponibili sul proprio Sito Internet una serie di informazioni, tra cui:

  • data e luogo di costituzione, nome e indirizzo del notaio rogante;
  • sede principale e sedi secondarie;
  • oggetto sociale, con una descrizione chiara dell’attività svolta;
  •  spese in ricerca e sviluppo, con una previsione dettagliata per il primo anno di attività;
  • elenco dei soci in equity, garantendo trasparenza rispetto a eventuali partecipazioni fiduciarie o holding;
  • elenco delle società partecipate;
  • titoli di studio e qualifiche professionali dei soci e dei dipendenti;
  • relazioni con incubatori certificati, investitori istituzionali o università;
  • bilancio annuale, in formato XBRL, depositato presso il Registro delle Imprese;
  • diritti di proprietà industriale e intellettuale eventualmente detenuti.

B. Iscrizione della start up innovativa per società già costituite

Per le società già costituite che intendano acquisire lo status di start up innovativa, la normativa prevede una procedura di registrazione differente. In questo caso, l’iscrizione alla sezione speciale del Registro delle Imprese avviene successivamente alla costituzione, e la domanda deve essere trasmessa in via telematica tramite Comunicazione Unica, con l’utilizzo del modello informatico S2.

Anche in questo caso, l’iscrizione nella sezione speciale non sostituisce l’iscrizione già avvenuta nella sezione ordinaria del Registro delle Imprese, ma si aggiunge ad essa.
Sia per le società di nuova costituzione, sia per quelle già operative, il completamento della registrazione nella sezione speciale consente alla start up innovativa di accedere alle deroghe previste dal diritto societario, nonché ai benefici fiscali e previdenziali correlati.

Start up innovativa: obblighi di aggiornamento e dichiarazione di mantenimento dei requisiti

L’iscrizione nella sezione speciale del Registro delle Imprese impone alla start up innovativa specifici obblighi di aggiornamento e comunicazione periodica, volti a garantire il costante monitoraggio dei requisiti richiesti dalla normativa. La disciplina di riferimento, delineata dall’art. 25 del D.L. 179/2012, prevede che le imprese beneficiarie delle agevolazioni debbano periodicamente confermare il possesso delle condizioni necessarie per il mantenimento dello status speciale.

A) Aggiornamento periodico delle informazioni

L’art. 25, comma 17-bis del D.L. 179/2012, introdotto con il D.L. 135/2018, stabilisce che la start up innovativa sia tenuta ad aggiornare almeno una volta all’anno le informazioni fornite al momento della richiesta di iscrizione nella sezione speciale. Tale aggiornamento è fondamentale per garantire la trasparenza verso il mercato e per consentire agli operatori economici e agli investitori di verificare la solidità e l’innovatività del progetto imprenditoriale.

L’aggiornamento deve essere effettuato attraverso la piattaforma digitale startup.registroimprese.it e riguarda i seguenti dati:

  • composizione della compagine sociale, con indicazione delle eventuali modifiche intervenute;
  • oggetto sociale, con particolare riferimento all’attività innovativa svolta;
  • sede legale e operativa, inclusa l’eventuale apertura di nuove unità locali;
  • bilancio annuale, con evidenza delle spese sostenute per ricerca e sviluppo;
  • variazioni nelle partecipazioni societarie e nei rapporti con investitori o incubatori certificati;
  • nuove privative industriali, brevetti o diritti di proprietà intellettuale acquisiti.

L’omessa comunicazione dell’aggiornamento può comportare difficoltà nell’accesso ai benefici previsti dalla normativa e rappresenta un indice di inattendibilità nei confronti degli investitori e delle istituzioni finanziarie.

B) Dichiarazione annuale di mantenimento dei requisiti

L’art. 25, comma 15 del D.L. 179/2012, come modificato dal D.L. 135/2018, impone inoltre l’obbligo di depositare annualmente una dichiarazione di mantenimento dei requisiti, da presentare entro 30 giorni dall’approvazione del bilancio e comunque entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio. In caso di adozione del termine lungo previsto dall’art. 2364 del Codice Civile, il deposito deve avvenire entro sette mesi dalla chiusura dell’esercizio sociale.

La dichiarazione, firmata digitalmente dal legale rappresentante della società, deve attestare il rispetto dei requisiti di ammissibilità e deve essere depositata presso il Registro delle Imprese attraverso il modello informatico S2.
La mancata presentazione della dichiarazione annuale ha conseguenze rilevanti: l’art. 25, comma 16 equipara l’omesso deposito alla perdita dei requisiti di start up innovativa, con conseguente cancellazione automatica dalla sezione speciale del Registro delle Imprese.

La normativa prevede un sistema di raccordo automatico tra l’aggiornamento annuale delle informazioni e la dichiarazione di mantenimento dei requisiti. In particolare, la piattaforma digitale del Registro delle Imprese impedisce il deposito della dichiarazione di mantenimento qualora la società non abbia prima provveduto ad aggiornare i propri dati.

Il rispetto di questi obblighi è dunque essenziale per preservare lo status di start up innovativa e continuare a beneficiare delle deroghe al diritto societario, delle agevolazioni fiscali e delle misure di sostegno previste dalla legge.

Start up innovativa e passaggio a PMI innovativa

Nel corso della sua evoluzione, una start up innovativa può perdere i requisiti previsti dalla normativa vigente e cessare di rientrare nella categoria di imprese soggette al regime agevolato. Il legislatore, tuttavia, ha previsto un meccanismo di transizione agevolata che consente alle società che abbiano superato i limiti stabiliti per le start up innovative di accedere alla disciplina delle PMI innovative, garantendo la continuità delle misure di sostegno e degli incentivi normativi.

La normativa stabilisce che una start up innovativa perde automaticamente il proprio status al decorso del termine massimo di sessanta mesi dalla costituzione, termine che rappresenta il limite temporale imposto dal legislatore per l’accesso alle agevolazioni riservate alle imprese emergenti. Lo stesso effetto si verifica qualora l’impresa superi il valore annuo della produzione di cinque milioni di euro, a partire dal secondo anno di attività, o distribuisca utili ai soci in violazione del divieto imposto dalla disciplina di riferimento.

Il venir meno dei requisiti può inoltre derivare dalla modifica dell’oggetto sociale, qualora la società cessi di operare nello sviluppo, nella produzione e nella commercializzazione di prodotti o servizi ad alto valore tecnologico, nonché dal mancato rispetto degli obblighi periodici di aggiornamento e dalla mancata presentazione della dichiarazione annuale di mantenimento dei requisiti.

In tali circostanze, l’impresa viene cancellata d’ufficio dalla sezione speciale del Registro delle Imprese, cessando di beneficiare delle deroghe al diritto societario e delle agevolazioni fiscali e amministrative previste per le start up innovative.

Al fine di evitare che il superamento dei limiti imposti dalla normativa determini una brusca interruzione delle misure di sostegno, il legislatore ha introdotto la possibilità per le start up innovative di effettuare il passaggio alla sezione speciale delle PMI innovative senza soluzione di continuità. Affinché ciò sia possibile, è necessario che l’impresa rientri nella definizione di piccola e media impresa, così come delineata dal Regolamento (UE) n. 651/2014, e che permangano i presupposti di innovatività richiesti per l’accesso alla categoria delle start up innovative.

In particolare, l’impresa deve continuare a destinare una quota significativa della propria attività alla ricerca e sviluppo, impiegare personale altamente qualificato oppure detenere privative industriali e diritti di proprietà intellettuale afferenti all’oggetto sociale. La società interessata al passaggio deve presentare un’apposita istanza di iscrizione nella sezione speciale delle PMI innovative, indicando le motivazioni della richiesta e attestando il mantenimento delle condizioni di innovatività.

L’iscrizione alla sezione speciale delle PMI innovative permette all’impresa di proseguire nel proprio percorso di crescita senza rinunciare ai benefici fiscali e normativi compatibili con la nuova categoria giuridica. In particolare, le PMI innovative possono continuare a beneficiare di agevolazioni fiscali sugli investimenti in capitale di rischio, semplificazioni amministrative in materia di deposito degli atti societari presso il Registro delle Imprese, facilitazioni nell’accesso al credito attraverso il Fondo di Garanzia per le PMI, nonché condizioni di favore per la partecipazione agli appalti pubblici e ai programmi di finanziamento europei dedicati all’innovazione.

Start up innovativa a vocazione sociale: requisiti e peculiarità

La disciplina delle start up innovative si applica anche a quelle imprese che, oltre a soddisfare i requisiti previsti dalla normativa generale, operano in via esclusiva in settori di rilevante interesse sociale. Il legislatore ha infatti introdotto la categoria delle start up innovative a vocazione sociale, disciplinata dall’art. 25, comma 4 del D.L. 179/2012, con l’intento di incentivare lo sviluppo di imprese che, pur conservando il carattere innovativo e tecnologico richiesto dalla normativa, perseguano finalità di impatto sociale in settori strategici per il benessere collettivo.

Ai fini del riconoscimento di tale qualifica, la società deve operare esclusivamente in uno o più settori individuati dall’art. 2, comma 1 del D.Lgs. 24 marzo 2006, n. 155, tra i quali rientrano: l’assistenza sociale e sanitaria, l’educazione e la formazione, la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, la valorizzazione del patrimonio culturale, il turismo sociale, la ricerca e l’erogazione di servizi culturali, nonché l’erogazione di servizi strumentali alle imprese sociali.

Il riconoscimento della qualifica di start up innovativa a vocazione sociale non richiede l’iscrizione nella sezione speciale del Registro delle Imprese dedicata alle imprese sociali, ma è subordinato alla presentazione di un’apposita autocertificazione da parte del legale rappresentante della società.

L’iter di riconoscimento prevede che l’impresa, in fase di iscrizione alla sezione speciale delle start up innovativa, indichi espressamente il settore di attività e attesti di realizzare, operando in tale ambito, una finalità di interesse generale.

Tale dichiarazione deve essere trasmessa attraverso la piattaforma digitale del Registro delle Imprese e deve essere accompagnata dall’impegno a dare evidenza dell’impatto sociale prodotto dall’attività aziendale. A tal fine, il legislatore ha imposto l’obbligo di redigere annualmente un Documento di Descrizione dell’Impatto Sociale, in cui l’impresa deve illustrare i risultati conseguiti in termini di beneficio per la collettività. Il documento, elaborato secondo le indicazioni fornite dal Ministero dello Sviluppo Economico, deve essere trasmesso alla Camera di Commercio territorialmente competente, a conferma della persistenza delle finalità di interesse generale dichiarate in sede di registrazione.

L’accesso alla qualifica di start up innovativa a vocazione sociale consente di beneficiare di un regime fiscale agevolato, con una maggiorazione degli incentivi per gli investimenti in capitale di rischio rispetto a quanto previsto per le start up innovative tradizionali. Tale misura mira a favorire l’afflusso di capitali privati verso imprese che, oltre a introdurre soluzioni innovative e tecnologicamente avanzate, si propongono di generare un impatto positivo sulla società e sull’ambiente.

Costituzione di una start up innovativa: assistenza legale dedicata

La start up innovativa è uno strumento che permette ai soci e ai promotori del progetto di poter beneficiare delle numerose misure di sostegno previste dal legislatore.
Il quadro normativo delineato dal D.L. 179/2012 e dalle successive modifiche impone alle start up precisi obblighi non solo in fase di prima registrazione, ma anche per il mantenimento dell’iscrizione nella sezione speciale del Registro delle Imprese.

In un quadro normativo complesso, la corretta gestione degli adempimenti e il rispetto delle condizioni richieste dalla legge risultano fondamentali per massimizzare i benefici derivanti dalla qualifica di start up innovativa.
L’esperienza che abbiamo maturato nell’ambito della corporate compliance e del diritto delle nuove tecnologie consente di fornire un supporto qualificato per affrontare le complesse dinamiche normative del settore, garantendo alle imprese innovative un’assistenza strategica finalizzata a una crescita sostenibile e conforme al quadro normativo vigente.

Per ricevere una consulenza personalizzata, lo Studio Legale D’Agostino è a disposizione per affiancare soci e promotori di una start-up innovativa nella crescita sicura e sostenibile del business.

 

Immagine raffigurante una discussione tra soci di una start-up riguardante i patti parasociali, con il logo "dagostinolex.com" in basso

Assistenza legale per start-up innovativa. Patti parasociali, costituzione Srl, iscrizione nel registro, protezione IP con lo Studio Legale D’Agostino.

Nomina dell’Organismo di Vigilanza ex art. 6 D. Lgs. 231/2001: requisiti, compiti e funzioni

Nomina dell’Organismo di Vigilanza ex art. 6 D. Lgs. 231/2001: requisiti, compiti e funzioni

La nomina dell’Organismo di Vigilanza garantisce l’effettività del Modello organizzativo 231, nell’ambito delle strategie aziendali di prevenzione dei reati all’interno dell’ente. L’Organismo di Vigilanza (OdV) è un organo di controllo indipendente, previsto dal D.lgs. 231/2001, con il compito di vigilare sull’efficace attuazione e aggiornamento del modello, segnalando eventuali irregolarità e proponendo misure correttive.

L’introduzione della responsabilità amministrativa degli enti ha determinato la necessità, per le imprese e le organizzazioni, di adottare strumenti di compliance aziendale in grado di ridurre il rischio di coinvolgimento in procedimenti sanzionatori.

Il modello organizzativo 231, se adeguatamente implementato e aggiornato, può costituire una causa esimente dalla responsabilità dell’ente, ma solo a condizione che sia stata la nomina dell’Organismo di Vigilanza, dotato dei requisiti di autonomia, indipendenza e professionalità.

L’OdV svolge quindi un ruolo chiave nel garantire che il modello non si riduca a un mero apparato formale, ma sia concretamente applicato nella gestione aziendale. La sua istituzione e il suo funzionamento devono essere regolati da criteri rigorosi, in modo da assicurare una vigilanza efficace sui processi interni e sugli obblighi di prevenzione dei reati.

Nei paragrafi successivi verranno approfonditi i criteri di nomina dell’Organismo di Vigilanza 231, i requisiti necessari per i suoi componenti, le sue principali funzioni e l’importanza dei flussi informativi come strumento essenziale per il corretto svolgimento della sua attività di controllo.

Nomina dell’Organismo di Vigilanza 231: criteri e modalità

La Nomina dell’Organismo di Vigilanza è un atto di fondamentale importanza per l’efficace attuazione del Modello organizzativo 231. Solitamente essa viene deliberata dal Consiglio di Amministrazione, sentito il Collegio Sindacale, con l’obiettivo di garantire che il soggetto o i soggetti designati abbiano i requisiti di autonomia, indipendenza e competenza richiesti dalla normativa. L’OdV può avere una composizione monocratica o collegiale, a seconda delle dimensioni e della complessità organizzativa dell’ente.

Per le imprese di piccole dimensioni e per le start-up, l’art. 6, comma 4 del D.lgs. 231/2001 prevede che i compiti dell’OdV possano essere svolti direttamente dall’organo dirigente, senza la necessità di un organismo separato. Questa soluzione, sebbene legittima, solleva criticità in termini di indipendenza e obiettività del controllo, motivo per cui molte aziende, anche di ridotte dimensioni, preferiscono istituire un OdV autonomo. Abbiamo trattato il tema in un precedente articolo, al quale facciamo rinvio.

Per le imprese di medie e grandi dimensioni, invece, la composizione collegiale è generalmente preferibile, in quanto consente una maggiore distribuzione delle competenze e una più efficace gestione dei controlli.

L’OdV può essere composto sia da componenti interni all’ente (ad esempio il responsabile dell’internal audit o della funzione legale) sia da esperti esterni con competenze specifiche in diritto penale d’impresa, sistemi di controllo e compliance aziendale. La scelta tra un modello monocratico o collegiale dipende dalla necessità di assicurare l’effettività e l’efficacia del controllo, evitando qualsiasi interferenza con le attività operative dell’ente.

Una particolare attenzione deve essere posta nella definizione dei criteri di nomina. Per garantire l’autonomia dell’OdV, è necessario che i componenti non abbiano conflitti di interesse, vincoli di subordinazione o ruoli operativi che potrebbero comprometterne l’imparzialità. Inoltre, il loro mandato deve essere stabilito per un periodo di tempo definito, con possibilità di rinnovo, e deve essere prevista una procedura di revoca solo per giusta causa, evitando la possibilità di pressioni o interferenze indebite.

La nomina dell’Organismo di Vigilanza rappresenta, dunque, una fase delicata che incide direttamente sull’efficacia del modello organizzativo. Un OdV correttamente selezionato, e dotato dei requisiti richiesti dalla normativa, permette di garantire la corretta funzionalità del sistema di prevenzione dei reati e per conferire all’ente un’effettiva protezione dalla responsabilità amministrativa dipendente da reato.

Requisiti per la Nomina dell’Organismo di Vigilanza 231

Guardano alla prassi e alle best practices di settore, i principali requisiti per la Nomina dell’Organismo di Vigilanza sono tre: autonomia e indipendenza, professionalità e continuità di azione. Tali caratteristiche non solo assicurano il corretto funzionamento dell’OdV, ma sono anche decisive per dimostrare l’effettività del modello 231, evitando che esso venga considerato un mero strumento formale privo di reale applicazione.

a) Autonomia e indipendenza

Il principio di autonomia e indipendenza dell’OdV è essenziale affinché l’organismo possa esercitare il proprio ruolo senza subire pressioni o interferenze da parte degli organi di gestione dell’ente. Il D.lgs. 231/2001 non fornisce una definizione puntuale di tali requisiti, ma la prassi e la giurisprudenza hanno chiarito che l’OdV deve essere dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo, senza essere soggetto a vincoli di subordinazione gerarchica o funzionale.

Affinché sia garantita l’autonomia decisionale, la nomina dell’Organismo di Vigilanza deve riguardare soggetti che non siano coinvolti nelle attività operative dell’ente e che non abbiano interessi economici rilevanti nell’organizzazione. Questo significa, ad esempio, che un dirigente con poteri esecutivi o un membro del Consiglio di Amministrazione non può essere nominato come OdV, in quanto la sua funzione di controllo potrebbe risultare compromessa dalla partecipazione alle decisioni gestionali.

L’indipendenza dell’OdV deve essere valutata sia a livello oggettivo che soggettivo. Sul piano oggettivo, l’OdV deve essere collocato in una posizione di livello, ma senza essere sottoposto a direttive o condizionamenti operativi.

Sul piano oggettivo, i componenti dell’OdV devono essere privi di conflitti di interesse con l’ente e con le società collegate o controllate. Non devono inoltre esistere vincoli di parentela o affinità con i vertici aziendali, né partecipazioni azionarie o interessi economici significativi nell’ente.

L’atto di nomina dell’Organismo di Vigilanza deve inoltre prevedere garanzie di stabilità e protezione nei confronti dei componenti, evitando che possano essere rimossi o sostituiti senza una giusta causa. Il loro incarico deve avere una durata definita e la revoca deve essere giustificata esclusivamente in presenza di comprovate inadempienze o conflitti di interesse sopravvenuti.

b) Professionalità

La competenza professionale dei componenti dell’OdV è un requisito essenziale per la sua efficacia. La nomina dell’Organismo di Vigilanza deve riguardare soggetti con un elevato livello di specializzazione, in grado di effettuare verifiche ispettive, analizzare i processi aziendali e individuare eventuali criticità nei sistemi di prevenzione dei reati.

Le Linee Guida di Confindustria raccomandano che i componenti dell’OdV abbiano conoscenze approfondite in materia giuridica, economica e gestionale, con particolare attenzione al diritto penale d’impresa, ai sistemi di controllo interno, alla corporate governance e ai meccanismi di compliance aziendale.

Le principali competenze richieste per la nomina dell’Organismo di Vigilanza riguardano:

  • Diritto penale e amministrativo, con particolare riferimento ai reati previsti dal D.lgs. 231/2001 e ai criteri di imputazione della responsabilità amministrativa dell’ente.
  • Attività ispettiva e di audit, con capacità di condurre verifiche, ispezioni interne e analisi documentali per garantire il rispetto del Modello organizzativo 231.
  • Analisi dei processi aziendali, attraverso la mappatura delle aree sensibili e la valutazione dei rischi connessi alla possibile commissione di reati.
  • Metodologie di risk assessment, per individuare e monitorare le criticità nel sistema di gestione e controllo dell’ente.

Per assicurare un adeguato livello di competenza, la nomina dell’Organismo di Vigilanza può prevedere una composizione collegiale, includendo soggetti con professionalità complementari, come avvocati esperti di diritto penale, revisori contabili, esperti di compliance aziendale e specialisti di risk management.

c) Continuità di azione

La continuità operativa dell’OdV è fondamentale affinché il controllo sulla corretta attuazione del modello organizzativo 231 non si riduca a un’attività episodica o meramente formale. La nomina dell’Organismo di Vigilanza deve quindi cadere su soggetti in grado di garantire un impegno costante nell’attività di vigilanza, con un programma di verifiche periodiche e un monitoraggio sistematico dei processi aziendali.

L’OdV deve disporre di un budget autonomo, approvato dal Consiglio di Amministrazione, per svolgere le proprie attività in maniera indipendente, avvalendosi, se necessario, di consulenti esterni per approfondimenti specialistici. È inoltre essenziale che l’OdV abbia accesso a tutta la documentazione aziendale rilevante per l’esercizio delle sue funzioni, senza restrizioni o vincoli operativi.

Un ulteriore aspetto che incide sulla continuità d’azione è la previsione di flussi informativi costanti tra l’OdV e le funzioni aziendali sensibili, al fine di garantire che tutte le segnalazioni di eventuali irregolarità vengano tempestivamente analizzate e gestite. L’OdV deve inoltre redigere report periodici, da trasmettere agli organi apicali dell’ente, nei quali riferire sulle attività svolte, sulle criticità riscontrate e sulle eventuali misure correttive da adottare.

Atto di nomina dell’Organismo di Vigilanza: compiti e poteri

I compiti dell’Organismo di Vigilanza possono essere distinti in tre aree principali: verifica dell’efficacia del modello, controllo sull’osservanza delle procedure e aggiornamento continuo del sistema di prevenzione. Tali attività sono disciplinate dall’art. 6 del D.lgs. 231/2001 e dalle Linee Guida di Confindustria, che hanno delineato una serie di funzioni essenziali per il corretto funzionamento dell’OdV.

1) Vigilanza sull’effettività del modello organizzativo: l’OdV verifica della coerenza tra i comportamenti aziendali e le prescrizioni del modello, attraverso un’analisi costante delle procedure adottate e un controllo sulle aree sensibili individuate nella mappatura dei rischi. L’atto di nomina dell’Organismo di Vigilanza deve prevedere che le misure preventive siano concretamente attuate e che non si verifichi un rispetto soltanto “cartolare” del modello.

2) Analisi dell’adeguatezza del modello: l’OdV deve verificare che il modello organizzativo sia idoneo a prevenire i reati presupposto previsti dal D.lgs. 231/2001, individuando eventuali criticità e proponendo azioni correttive. Questo richiede un’analisi approfondita della struttura organizzativa dell’ente, con particolare attenzione ai meccanismi di controllo interni, alle deleghe di poteri e ai protocolli decisionali adottati dall’azienda.

3) Monitoraggio del mantenimento nel tempo dei requisiti di solidità e funzionalità del modello: l’OdV non può limitarsi a un’analisi statica, ma deve garantire che il modello organizzativo venga costantemente aggiornato in base alle evoluzioni normative, ai cambiamenti organizzativi e agli esiti delle verifiche interne. La sua funzione è quindi dinamica e proattiva, orientata a migliorare costantemente il sistema di prevenzione dei rischi.

Per assolvere ai propri compiti, l’OdV deve essere dotato di poteri autonomi di iniziativa e controllo. Ai sensi dell’art. 6 del D.lgs. 231/2001 l’OdV dovrebbe accedere senza restrizioni a tutti i documenti aziendali rilevanti, effettuare verifiche ispettive e condurre indagini interne per accertare eventuali violazioni del modello.

Inoltre, l’OdV deve avere la possibilità di raccogliere informazioni da tutte le funzioni aziendali, interagendo con i responsabili delle aree più sensibili e richiedendo chiarimenti su operazioni o decisioni rilevanti ai fini della compliance.

L’autonomia di spesa è un altro aspetto essenziale per garantire l’indipendenza dell’OdV. La nomina dell’Organismo di Vigilanza deve prevedere l’assegnazione di un budget autonomo, che consenta all’OdV di avvalersi, se necessario, di consulenti esterni per approfondimenti specialistici e di condurre verifiche indipendenti senza interferenze da parte del management aziendale.

Infine, un ulteriore compito dell’OdV è la promozione della cultura della compliance aziendale. Ciò significa che l’Organismo di Vigilanza deve diffondere la conoscenza del modello 231 attraverso attività formative rivolte a dipendenti e dirigenti, al fine di sensibilizzare tutto il personale sull’importanza delle regole di prevenzione e sulle conseguenze della violazione delle normative di riferimento.

Nomina dell’Organismo di Vigilanza e flussi informativi

Nel trattare della nomina dell’Organismo di Vigilanza, non potrebbe tacersi l’importanza che rivestono i flussi informativi nell’effettività dei controlli demandati a quest’ultimo. Il D.lgs. 231/2001, all’art. 6, comma 2, lettera d), stabilisce che il modello di organizzazione e gestione deve prevedere obblighi di informazione nei confronti dell’OdV, al fine di consentire un controllo costante e approfondito sulle aree aziendali più esposte al rischio di commissione di reati.

I flussi informativi si articolano in due direzioni: da un lato, vi sono le comunicazioni che l’Organismo di Vigilanza deve ricevere, ossia i report periodici, le segnalazioni di anomalie e le informazioni riguardanti eventi di rilievo; dall’altro, vi sono i flussi in uscita, ovvero le relazioni che l’OdV trasmette agli organi societari, in particolare al Consiglio di Amministrazione e al Collegio Sindacale, per evidenziare criticità e proporre eventuali aggiornamenti del modello.

Le informazioni trasmesse all’OdV devono riguardare tutti gli aspetti rilevanti per la vigilanza sull’effettività e sull’adeguatezza del modello, compresi gli esiti delle attività di audit interno, le verifiche sugli strumenti di controllo e il rispetto dei protocolli aziendali. È essenziale che i responsabili delle funzioni aziendali più esposte ai rischi 231 trasmettano con regolarità report dettagliati all’OdV, segnalando eventuali situazioni anomale o potenzialmente critiche.

In questo contesto, assume particolare rilievo la gestione delle segnalazioni whistleblowing, che consente ai dipendenti e ai collaboratori di riferire eventuali violazioni delle procedure senza timore di ritorsioni, garantendo l’anonimato e la riservatezza.

Oltre ai flussi informativi interni, la nomina dell’Organismo di Vigilanza implica anche l’istituzione di un sistema di reporting periodico verso il Consiglio di Amministrazione e il Collegio Sindacale. L’OdV deve redigere relazioni periodiche – solitamente su base semestrale o annuale – in cui illustra le attività svolte, evidenzia eventuali violazioni e propone misure correttive. Questo meccanismo consente alla governance aziendale di monitorare l’efficacia del sistema di controllo interno e di intervenire tempestivamente in caso di necessità.

Un aspetto critico per l’effettività dei flussi informativi è la qualità e la tempestività delle comunicazioni. È fondamentale che le informazioni trasmesse all’OdV siano chiare, complete e tempestive, affinché l’Organismo possa intervenire con tempestività e adottare le misure necessarie per prevenire situazioni di rischio.

Per questo motivo, molte aziende formalizzano le modalità di comunicazione attraverso procedure interne e regolamenti specifici, che disciplinano la periodicità, i contenuti e i canali attraverso cui devono essere trasmesse le informazioni.

Infine, la nomina dell’Organismo di Vigilanza deve prevedere una specifica disciplina delle responsabilità in caso di omissione dei flussi informativi. L’omessa trasmissione di dati rilevanti all’OdV può costituire una grave violazione del modello e comportare conseguenze disciplinari per i soggetti responsabili.

L’efficacia dell’OdV dipende in gran parte dalla collaborazione dell’intera struttura aziendale, motivo per cui è fondamentale che i vertici societari – dopo la nomina dell’Organismo di Vigilanza – promuovano una cultura della trasparenza e della comunicazione interna, al fine di garantire il corretto funzionamento del sistema di prevenzione dei rischi previsto dal D.lgs. 231/2001.

Segnalazioni e whistleblowing: dalla nomina dell’Organismo di Vigilanza alle attività operative

La sola nomina dell’Organismo di Vigilanza può non essere sufficiente ad assicurare l’emersione di condotte illecite all’interno della società. La possibilità di segnalare violazioni del modello 231 e di eventuali condotte illecite costituisce un pilastro della corporate compliance e rappresenta un elemento imprescindibile per garantire l’effettività del controllo esercitato dall’OdV.

Il D.lgs. 231/2001, integrato dalle disposizioni del D.lgs. 24/2023 in attuazione della Direttiva (UE) 2019/1937, ha rafforzato il ruolo del whistleblowing, introducendo specifiche disposizioni a tutela dei segnalanti. La normativa impone agli enti di adottare canali di segnalazione riservati e sicuri, in grado di garantire la riservatezza dell’identità del whistleblower, nonché di predisporre misure di protezione nei confronti di chi denuncia condotte illecite, al fine di evitare ritorsioni o discriminazioni.

Nell’ambito della nomina dell’Organismo di Vigilanza, risulta quindi essenziale disciplinare in modo chiaro i flussi informativi relativi alle segnalazioni, definendo procedure interne che consentano di ricevere, analizzare e gestire le comunicazioni pervenute.

L’OdV deve essere in grado di valutare le segnalazioni con piena autonomia e indipendenza, adottando le misure necessarie per approfondire le anomalie riscontrate ed eventualmente attivare i meccanismi sanzionatori previsti dal modello.

Le aziende devono istituire canali di segnalazione adeguati, che possano includere piattaforme digitali protette, indirizzi e-mail riservati, cassette postali fisiche o altre modalità che garantiscano l’anonimato del segnalante. La nomina dell’Organismo di Vigilanza prevede che l’OdV abbia accesso diretto a queste segnalazioni, senza interferenze da parte della direzione aziendale, e che possa gestirle con criteri di trasparenza, imparzialità e riservatezza.

Si dovrebbe prevedere un sistema di verifica e monitoraggio delle segnalazioni ricevute, in modo da poter tracciare le attività di indagine svolte e le eventuali azioni correttive adottate. La registrazione e l’archiviazione delle segnalazioni devono avvenire nel rispetto della normativa sulla protezione dei dati personali, garantendo che le informazioni siano trattate con il massimo livello di riservatezza e che i principi di proporzionalità e necessità siano rispettati in ogni fase della gestione delle segnalazioni.

Supporto legale specialistico nella nomina dell’Organismo di Vigilanza

La nomina dell’Organismo di Vigilanza rappresenta un passaggio obbligato per l’attuazione di un modello 231 efficace, capace di ridurre i rischi di responsabilità amministrativa e rafforzare il sistema di corporate compliance.
Il nostro Studio vanta una pluriennale esperienza nella gestione degli adempimenti connessi alla responsabilità 231, offrendo supporto specialistico in tutte le fasi di elaborazione, implementazione e aggiornamento del modello.

Svolgiamo direttamente il ruolo di Organismo di Vigilanza esterno, sia in forma monocratica che come membri di OdV collegiali, garantendo un controllo indipendente e altamente qualificato.

Affianchiamo le imprese nella costruzione di un sistema di compliance efficace, in linea con le migliori best practice e con l’evoluzione normativa in materia di corporate governance.

 

Immagine di un professionista che firma un documento intitolato "Compliance 231", simbolo di conformità legale. Branding DAGOSTINOLEX.

 Compliance 231 e nomina dell’Organismo di Vigilanza. Un avvocato specialista in diritto penale per una strategia di corporate compliance integrata.

Modello organizzativo 231: struttura, contenuto e allegati. Come si elabora un modello efficace?

Modello organizzativo 231: struttura, contenuto e allegati. Come si elabora un modello efficace?

Il Modello organizzativo 231 è lo strumento cardine per le imprese che vogliano conformarsi alla disciplina sulla responsabilità amministrativa degli enti, prevista dal D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231. Come noto, tale normativa prevede una responsabilità diretta delle persone giuridiche per determinati reati commessi, nell’interesse o a vantaggio dell’ente, da soggetti in posizione apicale o sottoposti alla loro direzione e vigilanza. L’adozione di un Modello organizzativo 231 idoneo consente all’impresa di prevenire tali reati e di escludere (o, in certi casi, attenuare) la propria responsabilità. Abbiamo trattato dell’argomento anche in precedenti articoli, con focus specifico su alcune categorie di reati e sulla compliance per enti di ridotte dimensioni o in fase di start-up.

Con questo articolo intendiamo fornire ai lettori una guida sui principi normativi, la struttura del modello, i reati presupposto, le fasi di elaborazione e gli allegati fondamentali per la costruzione di un sistema di gestione della compliance conforme al D.lgs. 231/2001.

Il Decreto 231 si inserisce in un più ampio quadro normativo volto a rafforzare la legalità e la trasparenza nelle attività economiche, recependo obblighi derivanti da convenzioni internazionali, tra cui la Convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione e la Convenzione di Bruxelles sulla tutela degli interessi finanziari della Comunità Europea. L’obiettivo del legislatore non è solo repressivo, ma fortemente preventivo, imponendo alle imprese l’adozione di un sistema di regole e procedure interne per ridurre il rischio di commissione di reati.

Un Modello organizzativo 231 adeguato e ben strutturato consente all’ente di dimostrare la propria estraneità alla condotta illecita, a condizione che siano rispettati alcuni requisiti fondamentali, tra cui:

  • la mappatura delle attività a rischio reato, identificando le aree aziendali più esposte;
  • l’adozione di protocolli interni per regolamentare i processi decisionali e di gestione;
  • la predisposizione di un sistema disciplinare che sanzioni eventuali violazioni del modello;
  • l’istituzione di un Organismo di Vigilanza (OdV) indipendente, con poteri di iniziativa e controllo;
  • l’implementazione di un sistema di formazione e comunicazione volto a diffondere la cultura della compliance aziendale.

La mancata adozione di un Modello organizzativo 231, ove si verifichi la commissione di un reato presupposto, può comportare per l’ente l’applicazione di sanzioni pecuniarie, interdittive, la confisca dei beni e persino la pubblicazione della sentenza di condanna. Risulta, pertanto, imprescindibile che le imprese adottino un Modello organizzativo 231 idoneo ed efficace, personalizzato in base alla propria struttura e alle proprie attività.

Modello organizzativo 231 e esonero da responsabilità

Il Modello organizzativo 231 trova la sua principale ragion d’essere nella prevenzione dei reati che possono determinare la responsabilità amministrativa dell’ente. Il legislatore, attraverso il D.lgs. 231/2001, ha progressivamente ampliato l’elenco dei reati presupposto, includendo fattispecie sempre più eterogenee che spaziano dai delitti contro la pubblica amministrazione, ai reati societari, ai delitti ambientali e tributari, fino alle più recenti incriminazioni in materia di cybercrime e riciclaggio.

Il decreto non si limita ad introdurre e disciplinare il regime di responsabilità a carico delle persone giuridiche ed il relativo apparato sanzionatorio, ma consente alle stesse di esserne esentate nel caso in cui provino:

  • di aver adottato ed attuato in modo efficace un modello organizzativo 231, idoneo a prevenire il reato della specie di quello commesso;
  • di aver affidato il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza del modello, sul suo aggiornamento ad un organismo dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo (Organismo di Vigilanza);
  • che il reato è stato commesso eludendo fraudolentemente il modello di organizzazione e gestione
  • che non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’Organismo di Vigilanza.

Nucleo della disciplina, pertanto, è proprio la predisposizione e l’attuazione di detto modello, finalizzato ad impedire la commissione di certi reati nell’ambito dell’impresa da cui può dipendere la responsabilità dell’ente, il cui accertamento è demandato alla competenza del giudice penale.

In altre parole, la responsabilità per illeciti amministrativi dipendenti da reato viene quindi imputata all’ente in presenza delle seguenti condizioni:

  1. commissione dei reati presupposto nell’interesse o a vantaggio dell’ente (anche se non esclusivo). La valutazione dell’interesse va compiuta ex ante, mentre la sussistenza di un vantaggio concreto va accertata ex post;
  2. mancata adozione, prima della commissione del reato, da parte dell’ente di un adeguato ed efficace modello di organizzazione finalizzato a prevenire reati della stessa specie di quello verificatosi, ovvero mancata attuazione dello stesso ove esistente;
  3. mancata istituzione dell’organismo di vigilanza (OdV) e omessa o insufficiente vigilanza, da parte dello stesso, sul funzionamento e l’osservanza del modello organizzativo e sui comportamenti dei dipendenti.

Struttura e contenuti del Modello organizzativo 231

Il Modello organizzativo 231 è un sistema strutturato di misure, procedure e controlli volto a prevenire la commissione dei reati presupposto previsti dal D.lgs. 231/2001. La sua efficacia dipende dalla corretta implementazione e personalizzazione in base alle caratteristiche specifiche dell’ente.

La struttura del modello, secondo le best practices di settore, si articola in due sezioni principali:

Parte Generale: definisce i principi fondamentali, le finalità del modello e il funzionamento degli strumenti di prevenzione e controllo;

Parte Speciale: disciplina in modo dettagliato i protocolli operativi relativi alle attività aziendali esposte a rischio reato.

Nella Parte Generale, vengono delineati gli elementi essenziali del Modello organizzativo 231, tra cui:

  • Mappatura delle attività a rischio: l’ente deve identificare le aree aziendali esposte al rischio di commissione di reati, adottando strumenti di analisi per valutare i processi interni.
  • Principi e protocolli di prevenzione: devono essere predisposte regole generali volte a ridurre il rischio di illeciti, improntando quali sono i processi decisionali e le attività operative a rischio reato.
  • Sistema disciplinare: è necessario introdurre sanzioni nei confronti di chi non rispetta le misure previste dal modello, garantendo un’effettiva deterrenza.
  • Ruolo dell’Organismo di Vigilanza (OdV): il modello deve prevedere un OdV autonomo e indipendente, con il compito di monitorare l’effettiva applicazione delle misure preventive e proporne l’aggiornamento.

La Parte Speciale del Modello organizzativo 231 è dedicata alla regolamentazione delle singole aree aziendali a rischio e alla predisposizione di procedure operative specifiche. Essa include:

  • l’analisi dettagliata dei processi presidiati in base ai reati presupposto rilevanti per l’ente;
  • l’individuazione dei protocolli operativi e delle misure di controllo per ciascun processo aziendale esposto al rischio di illecito;
  • Le modalità di segnalazione delle violazioni e le misure di intervento in caso di non conformità.

L’efficacia del Modello organizzativo 231 dipende dalla sua concreta attuazione e dal monitoraggio continuo da parte dell’ente. Un modello formalmente corretto, ma non applicato in modo effettivo, non ha alcun valore ai fini dell’esonero da responsabilità. Pertanto, la formazione del personale, la diffusione delle procedure e l’attività di controllo dell’OdV risultano essenziali per garantirne la validità e l’aggiornamento costante.

Le fasi di elaborazione del Modello organizzativo 231

L’elaborazione di un Modello organizzativo 231 efficace richiede un processo strutturato e metodologico che garantisca la sua adeguatezza rispetto alle specificità dell’ente. Tale processo – come suggerito dallo standard comunemente osservato – si articola in diverse fasi, ciascuna delle quali è funzionale alla creazione di un sistema di prevenzione realmente efficace.

La prima fase consiste nell’analisi del contesto aziendale, attraverso un’indagine approfondita delle attività svolte dall’ente, della sua struttura organizzativa e dei processi operativi. Questo passaggio è essenziale per comprendere le dinamiche decisionali interne e individuare le aree potenzialmente esposte al rischio di commissione di reati presupposto.

Successivamente, si procede – in via preliminare rispetto alla concreta elaborazione del modello organizzativo 231 – con la mappatura delle attività a rischio (risk assessment), che consente di identificare le funzioni aziendali maggiormente vulnerabili e di delineare gli scenari in cui potrebbero verificarsi condotte illecite. Tale analisi deve essere condotta con un approccio sistematico e basato su criteri oggettivi, al fine di individuare le criticità e predisporre misure preventive adeguate.

L’ente deve quindi definire una serie di protocolli e procedure interne volte a regolamentare i processi decisionali e operativi (risk management), in modo da ridurre al minimo la possibilità che vengano commessi reati. Questi protocolli devono essere costruiti in modo tale da garantire la tracciabilità delle operazioni, il controllo incrociato delle decisioni e l’individuazione di eventuali anomalie.

Un ulteriore passaggio fondamentale è la nomina dell’Organismo di Vigilanza (OdV), organo indipendente deputato al controllo sull’effettiva applicazione del modello e sul rispetto delle misure di prevenzione adottate. L’OdV deve essere dotato di autonomia e poteri di iniziativa e controllo, affinché possa esercitare le proprie funzioni in modo efficace e imparziale. La definizione di flussi informativi obbligatori nei confronti dell’OdV è altresì cruciale, poiché consente all’organo di monitorare le attività sensibili e di intervenire tempestivamente in caso di irregolarità.

L’implementazione del Modello organizzativo 231 non si esaurisce con la sua adozione formale, ma richiede un’attività costante di formazione e sensibilizzazione del personale. Tutti i soggetti coinvolti nei processi aziendali devono essere adeguatamente informati sui principi del modello e sulle relative misure di prevenzione, affinché ne comprendano l’importanza e ne rispettino le prescrizioni. La formazione deve essere continua e adattata alle esigenze dell’ente, prevedendo sessioni periodiche di aggiornamento in funzione dell’evoluzione normativa e organizzativa.

Infine, per garantire l’idoneità del modello, è necessario un monitoraggio costante e un processo di revisione periodica. L’ente deve prevedere meccanismi di verifica e audit finalizzati a valutare l’effettiva applicazione del modello e la sua capacità di prevenire i reati. L’efficacia del Modello organizzativo 231 dipende dunque dalla sua capacità di adattarsi alle dinamiche aziendali e di rispondere in modo tempestivo alle nuove sfide in materia di compliance e gestione del rischio penale.

Focus sulla mappatura dei rischi nel Modello organizzativo 231

L’identificazione dei reati rilevanti per ciascun ente dipende dalla natura delle sue attività e dal contesto operativo in cui esso si inserisce, rendendo indispensabile un’analisi approfondita delle aree di rischio.
La costruzione di un Modello organizzativo 231 efficace presuppone la preliminare individuazione delle attività aziendali potenzialmente esposte al rischio di commissione dei reati presupposto. La cosiddetta mappatura dei rischi rappresenta un passaggio imprescindibile nella predisposizione del modello, poiché consente di definire con precisione le aree operative maggiormente vulnerabili e di calibrare le misure di prevenzione in modo mirato ed efficace.

Tale analisi deve essere condotta con un approccio metodologico rigoroso, attraverso un’indagine dettagliata dei processi interni e delle dinamiche decisionali che caratterizzano l’attività dell’ente.

L’individuazione delle attività sensibili implica uno studio approfondito della struttura aziendale, delle relazioni con terzi, della gestione delle risorse finanziarie e dei rapporti con la pubblica amministrazione.

È necessario esaminare il sistema dei poteri e delle deleghe, le procedure di controllo interno e i protocolli operativi esistenti, al fine di individuare eventuali vulnerabilità che potrebbero agevolare la commissione di reati. La mappatura deve essere aggiornata periodicamente, tenendo conto delle evoluzioni normative e organizzative, nonché dell’emergere di nuove tipologie di rischio connesse ai mutamenti del contesto economico e regolatorio.
Un’adeguata attività di risk assessment costituisce il presupposto essenziale per la definizione delle misure di prevenzione e per l’efficacia complessiva del modello. La mera predisposizione di un documento formale, privo di un’effettiva analisi delle criticità aziendali, non è sufficiente ad escludere la responsabilità dell’ente in sede giudiziaria.

Affinché il modello possa essere ritenuto idoneo a prevenire la commissione dei reati, è indispensabile che la mappatura dei rischi sia integrata da un sistema di controlli interni coerente e proporzionato rispetto alle specificità dell’ente.

Allegati del Modello organizzativo 231: quali documenti sono fondamentali?

L’efficacia del Modello organizzativo 231 dipende non solo dalla corretta strutturazione della sua parte generale e speciale, ma dal corredo degli allegati che valgono a dimostrare che l’ente ha correttamente svolto le attività di risk-assessment e risk-management. Gli allegati completano il quadro per l’applicazione concreta del modello e agevolano il compiti dell’Organismo di Vigilanza (OdV).

Uno degli allegati principali è l’elenco dei reati presupposto, che riporta tutte le fattispecie di reato che possono determinare la responsabilità dell’ente ai sensi del D.lgs. 231/2001. Questo documento deve essere costantemente aggiornato alla luce delle modifiche normative e delle nuove disposizioni legislative, in modo da garantire che il modello sia sempre conforme alla normativa vigente.

Un altro documento essenziale è la mappatura delle attività a rischio, che individua le aree aziendali potenzialmente esposte alla commissione di reati e ne analizza le vulnerabilità. La mappatura consente di stabilire le misure di prevenzione più adeguate e di implementare controlli efficaci per minimizzare il rischio, contenuti nella parte speciale. Essa deve essere redatta con criteri metodologici rigorosi e basarsi su un’analisi dettagliata dei processi aziendali, tenendo conto della struttura organizzativa dell’ente e delle sue dinamiche operative.

Non di minore importanza è il Codice etico e di comportamento, che definisce i valori e i principi fondamentali ai quali l’ente e i suoi collaboratori devono attenersi nello svolgimento delle attività aziendali. Il codice etico costituisce il riferimento primario per la costruzione della cultura aziendale in materia di compliance e legalità, fornendo indicazioni chiare sui comportamenti da adottare e sulle condotte da evitare per prevenire illeciti e situazioni di rischio.

Last but not least, il sistema disciplinare che prevede le misure sanzionatorie applicabili in caso di violazione delle disposizioni del modello. Il sistema disciplinare deve essere strutturato in modo da garantire un’efficace deterrenza e deve prevedere sanzioni proporzionate alla gravità delle infrazioni commesse. Esso deve inoltre essere coerente con la normativa giuslavoristica e con il contratto collettivo applicato dall’ente, al fine di assicurarne la legittimità e l’effettiva applicabilità.

Al sistema disciplinare fa spesso da pendant la procedura di whistleblowing, strumento essenziale per garantire la segnalazione di condotte illecite o irregolarità all’interno dell’ente. Tale procedura consente ai dipendenti e ai collaboratori di segnalare, in modo riservato e protetto, eventuali violazioni del modello o della normativa, senza il timore di subire ritorsioni.

La gestione delle segnalazioni deve essere conforme alla normativa vigente e prevedere meccanismi che assicurino l’anonimato del segnalante, nonché un sistema di verifica e gestione delle segnalazioni da parte dell’Organismo di Vigilanza (OdV). L’inserimento di una procedura di whistleblowing tra gli allegati del modello organizzativo 231 rafforza il sistema di controllo interno, incentivando la cultura della compliance e contribuendo alla tempestiva individuazione di comportamenti a rischio.

L’insieme degli allegati costituisce dunque un complemento essenziale al modello e ne determina l’efficacia pratica. La loro corretta predisposizione e il loro costante aggiornamento consentono di rafforzare il sistema di prevenzione del rischio penale e di dimostrare, in caso di contestazioni, che l’ente ha adottato tutte le misure necessarie per prevenire la commissione di reati nell’ambito della propria attività.

La nostra esperienza al tuo servizio per elaborare un Modello organizzativo 231 efficace

L’adozione di un Modello organizzativo 231 non rappresenta un mero adempimento formale, ma costituisce uno strumento strategico per la tutela dell’ente e per il rafforzamento della sua governance. La predisposizione di un modello adeguato ed efficace consente di ridurre significativamente il rischio di commissione di reati, garantendo un sistema di prevenzione, controllo e responsabilizzazione interna.

Affinché il modello assolva alla sua funzione esimente, è indispensabile che venga attuato in modo concreto e costante, evitando che si riduca a una documentazione priva di applicazione pratica. La sua efficacia dipende dall’integrazione con le attività aziendali, dalla formazione del personale e dall’attività di verifica e aggiornamento da parte dell’Organismo di Vigilanza (OdV).

In un contesto normativo in continua evoluzione, adottare e aggiornare un Modello organizzativo 231 risulta essenziale per le imprese che intendono operare in conformità alla legge e proteggere il proprio assetto organizzativo.

Per questo motivo, è consigliabile affidarsi ad avvocati specialisti in diritto penale ed esperti in diritto d’impresa e compliance, in grado di garantire un’implementazione personalizzata ed efficace del modello. Siamo a vostra disposizione per un confronto sulle strategie di compliance aziendale.

 

Consulenza legale per la responsabilità degli enti secondo il D.Lgs. 231/2001. Modello organizzativo e gestione del rischio per aziende.

Responsabilità amministrativa degli enti e D.Lgs. 231/2001. Lo Studio Legale D’Agostino offre supporto alle aziende per adottare un modello organizzativo 231 idoneo e supportare l’Organismo di Vigilanza.

Mantenimento dei figli: una soluzione consensuale in 3 mesi grazie alla negoziazione assistita familiare

Mantenimento dei figli: una soluzione consensuale in 3 mesi grazie alla negoziazione assistita familiare

Il mantenimento dei figli rappresenta un aspetto centrale nella regolamentazione delle relazioni familiari, in particolare quando i genitori cessano la convivenza o pongono fine a un legame affettivo. La necessità di garantire il benessere del minore e di assicurargli un adeguato sostegno economico ed educativo rende essenziale una disciplina chiara e conforme ai principi di diritto. L’ordinamento giuridico italiano, nel rispetto del principio della bigenitorialità e dell’interesse superiore del minore, prevede specifiche disposizioni in materia, finalizzate a regolamentare sia l’aspetto economico del mantenimento sia le modalità di affidamento e frequentazione tra genitori e figli.

Tradizionalmente, la determinazione delle condizioni relative all’affidamento e al mantenimento dei figli era demandata all’Autorità giudiziaria, la quale, su istanza delle parti, stabiliva le modalità di contribuzione economica e di esercizio della responsabilità genitoriale. Tuttavia, l’eccessivo carico della giurisdizione e l’esigenza di soluzioni più rapide ed efficienti hanno portato all’introduzione di strumenti alternativi alla via giudiziale. In questo contesto si inserisce la negoziazione assistita familiare, un istituto che consente ai genitori di raggiungere un accordo consensuale con l’assistenza obbligatoria dei rispettivi avvocati, evitando così il ricorso al giudice.

Attraverso la negoziazione assistita, le parti possono definire autonomamente ogni aspetto concernente l’affidamento, la residenza e il mantenimento dei figli, assicurando soluzioni personalizzate, flessibili e rispettose delle esigenze del minore. L’accordo così raggiunto, per acquisire efficacia, deve essere sottoposto al controllo della Procura della Repubblica, che ne verifica la conformità all’interesse superiore del minore e alle norme di ordine pubblico. In caso di esito positivo, il Procuratore rilascia il nulla osta o l’autorizzazione, conferendo all’accordo la medesima efficacia di un provvedimento giudiziale.

L’adozione della negoziazione assistita familiare in materia di mantenimento dei figli rappresenta, dunque, un’alternativa concreta e vantaggiosa per i genitori che intendono gestire consensualmente le questioni relative ai propri figli, evitando lunghe e dispendiose controversie giudiziarie.

Mantenimento dei figli e responsabilità genitoriale: il quadro normativo

Il mantenimento dei figli è un obbligo inderogabile che discende direttamente dall’articolo 30 della Costituzione italiana, secondo cui è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio.

Il codice civile, all’articolo 315-bis, ribadisce tale principio sancendo il diritto del minore di essere cresciuto in un ambiente adeguato alle sue necessità affettive, morali e materiali. L’articolo 337-ter del codice civile specifica inoltre che il giudice, nel regolare l’affidamento dei figli, deve attenersi al principio della bigenitorialità, garantendo ad entrambi i genitori il diritto e il dovere di partecipare alla vita del minore in modo equilibrato.

In caso di separazione o di cessazione della convivenza tra genitori non coniugati, il mantenimento del figlio deve essere garantito da entrambi i genitori in misura proporzionale alle rispettive capacità economiche. Invero, ai sensi dell’art. 337-ter c.c., salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito.

Il giudice stabilisce, solo ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando: le attuali esigenze del figlio; il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori; i tempi di permanenza presso ciascun genitore; le risorse economiche di entrambi i genitori; la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.

L’introduzione della negoziazione assistita familiare, a seguito delle varie modifiche al Decreto-Legge 12 settembre 2014, n. 132, ha innovato la disciplina dell’affidamento e del mantenimento dei figli, consentendo ai genitori di regolare questi aspetti attraverso un accordo consensuale, senza la necessità di un procedimento giudiziale.

Ai sensi dell’articolo 6, comma 1-bis del decreto, introdotto dalla Legge 206/2021, la convenzione di negoziazione assistita può essere utilizzata per disciplinare le modalità di affidamento e mantenimento dei figli minori nati fuori dal matrimonio, garantendo loro la necessaria tutela giuridica ed economica.

Il ricorso alla negoziazione assistita consente di evitare le lungaggini del contenzioso, mantenendo al contempo una rigorosa tutela dell’interesse superiore del minore, il quale costituisce il parametro fondamentale per la validità dell’accordo.

In tale prospettiva, il legislatore ha previsto un meccanismo di controllo affidato alla Procura della Repubblica, che è chiamata a verificare la conformità delle condizioni pattuite dai genitori alle esigenze del minore, rilasciando il nulla osta o, in caso di modifiche alle condizioni di mantenimento, un’autorizzazione espressa.

L’evoluzione normativa ha dunque favorito strumenti più rapidi ed efficienti per regolamentare il mantenimento dei figli, permettendo ai genitori di adottare una soluzione condivisa, sempre sotto la vigilanza dell’Autorità giudiziaria, per garantire stabilità e certezza nei rapporti genitoriali.

Mantenimento dei figli e negoziazione assistita: un’alternativa alla via giudiziale

La negoziazione assistita familiare rappresenta un’alternativa efficace e veloce al procedimento giudiziale per la regolamentazione del mantenimento dei figli e dell’affidamento dei minori. La possibilità di regolare autonomamente le condizioni relative ai figli, con il supporto di legali esperti, permette di adottare soluzioni flessibili e personalizzate, modellate sulle esigenze specifiche della famiglia e del minore.

Il principale vantaggio della negoziazione assistita rispetto al procedimento contenzioso è la rapidità. Mentre un giudizio in Tribunale può protrarsi per mesi, se non anni, l’accordo raggiunto mediante negoziazione assistita può essere definito in tempi molto più brevi e con costi significativamente inferiori. Inoltre, la natura consensuale di tale strumento riduce il livello di conflittualità tra i genitori, favorendo la cooperazione reciproca e il rispetto delle esigenze del minore.

Oltre alla maggiore celerità e alla riduzione dei costi, la negoziazione assistita garantisce un alto grado di riservatezza rispetto al procedimento giudiziario, che si svolge invece in un’aula di Tribunale. La possibilità di trovare una soluzione condivisa, lontano dalle rigidità del contenzioso, consente di preservare il rapporto genitoriale e di assicurare una maggiore stabilità al minore, che viene così tutelato da eventuali conflitti e tensioni familiari.

La regolamentazione del mantenimento dei figli attraverso la negoziazione assistita non solo rappresenta un’opzione vantaggiosa sotto il profilo giuridico ed economico, ma costituisce anche un modello virtuoso di gestione delle relazioni familiari, incentrato sul dialogo e sulla responsabilità genitoriale.

Mantenimento dei figli: il funzionamento della procedura di negoziazione assistita

La negoziazione assistita familiare si articola in una sequenza di fasi ben definite, finalizzate a garantire che le parti raggiungano un accordo consapevole e rispettoso dell’interesse superiore del minore. Il procedimento prende avvio con l’invito alla negoziazione assistita, un atto formale con cui l’avvocato di un genitore scrive alla controparte, ovvero all’altro genitore, sollecitandolo a nominare un proprio legale e ad aderire alla procedura. Questo passaggio è essenziale per instaurare il confronto in un contesto professionale e regolato dalla legge, evitando che le trattative si svolgano in modo informale e privo di valore giuridico.

Ricevuto l’invito, l’altro genitore può aderire alla negoziazione assistita per il tramite di un avvocato di fiducia. L’adesione deve avvenire per iscritto e comporta l’accettazione della procedura quale strumento per risolvere la controversia in modo consensuale. La legge impone che ciascun genitore sia assistito da un avvocato distinto, al fine di garantire l’imparzialità della negoziazione e il rispetto del principio di parità delle parti. Gli avvocati hanno il compito di tutelare gli interessi dei loro assistiti, ma anche di vigilare affinché ogni accordo sia conforme alle disposizioni di legge e non pregiudichi i diritti del minore.

Una volta stabilito il reciproco impegno a negoziare, le parti sottoscrivono un primo atto, denominato convenzione di negoziazione assistita. Con tale atto, i genitori si impegnano formalmente a collaborare in buona fede e con lealtà per raggiungere un accordo sulle modalità di affidamento e sul mantenimento dei figli. La convenzione deve essere redatta per iscritto e sottoscritta sia dai genitori sia dai rispettivi avvocati.

Inoltre, deve contenere un termine finale entro il quale le parti si impegnano a concludere la negoziazione, termine che di regola non è inferiore a un mese né superiore a tre mesi. Durante questo periodo, le parti si confrontano con l’assistenza dei propri legali per individuare la soluzione più adeguata alle esigenze del minore e alle rispettive condizioni economiche.

Al termine della negoziazione, se le parti raggiungono un’intesa, sottoscrivono l’accordo di negoziazione assistita, che contiene tutte le condizioni concordate in merito all’affidamento e al mantenimento dei figli. L’accordo deve essere redatto in forma scritta e firmato sia dai genitori sia dai loro avvocati, i quali certificano l’autenticità delle firme e la conformità del contenuto alle norme imperative e ai principi di ordine pubblico

Mantenimento dei figli: il controllo della Procura della Repubblica

Affinché l’accordo di negoziazione assistita familiare produca effetti giuridici e garantisca la piena tutela del minore, il legislatore ha previsto un meccanismo di controllo che coinvolge la Procura della Repubblica. In conformità a quanto stabilito dall’articolo 6 del D.L. 132/2014, l’accordo sottoscritto dai genitori e dai rispettivi avvocati deve essere trasmesso alla Procura presso il Tribunale competente, affinché il Procuratore della Repubblica possa verificarne la conformità alle norme di legge e all’interesse superiore del minore.

Il controllo della Procura può avere due esiti differenti. Se il Procuratore accerta che l’accordo rispetta pienamente i diritti del minore e che le condizioni pattuite per il mantenimento dei figli sono congrue e adeguate alle capacità economiche dei genitori, rilascia il nulla osta. In questo caso, l’accordo diventa immediatamente efficace tra le parti.

Se, invece, il Procuratore ritiene che le condizioni pattuite nell’accordo non siano idonee a tutelare il benessere del minore o se emergono profili di squilibrio economico tra i genitori tali da compromettere il diritto del figlio a un adeguato mantenimento, ha l’obbligo di trasmettere l’accordo al Presidente del Tribunale. In questo caso, il Tribunale fissa un’udienza in cui convoca le parti per esaminare il contenuto dell’accordo e verificare se sia necessario apportare modifiche.

Un ulteriore profilo di controllo riguarda il rispetto dei termini procedurali. L’accordo di negoziazione assistita deve essere trasmesso alla Procura entro dieci giorni dalla sottoscrizione.

Mantenimento dei figli: contenuti essenziali dell’accordo di negoziazione assistita

L’accordo di negoziazione assistita familiare in materia di mantenimento dei figli deve contenere una regolamentazione chiara e dettagliata delle condizioni relative all’affidamento, alla contribuzione economica e alle spese. La corretta formulazione di tali disposizioni è essenziale per evitare future controversie tra i genitori e garantire la tutela dell’interesse del minore.

Uno degli elementi fondamentali dell’accordo è la determinazione dell’assegno di mantenimento. Il contributo economico a carico del genitore non convivente deve essere commisurato alle risorse economiche di entrambi i genitori e alle necessità del minore, tenendo conto del tenore di vita goduto prima della cessazione della convivenza.

La somma stabilita deve essere predisposta in misura adeguata a coprire le spese ordinarie della vita quotidiana del minore, come vitto, alloggio, abbigliamento, istruzione e spese sanitarie di base. L’accordo deve inoltre prevedere la rivalutazione automatica annuale dell’importo secondo gli indici ISTAT, in modo da preservarne il valore nel tempo.

Oltre all’assegno di mantenimento dei figli, l’accordo deve disciplinare la ripartizione delle spese straordinarie, ovvero quei costi che esulano dalle normali esigenze quotidiane e che possono derivare, ad esempio, da cure mediche specialistiche, interventi chirurgici, spese scolastiche non ordinarie (come viaggi di istruzione con pernottamento), attività sportive e ricreative.

In genere, tali spese vengono suddivise tra i genitori in misura proporzionale alle rispettive capacità economiche o in parti uguali. La determinazione delle spese straordinarie deve avvenire in modo dettagliato, indicando quali spese necessitano di un accordo preventivo tra i genitori e quali, invece, devono essere corrisposte in misura automatica.

L’accordo di negoziazione assistita deve inoltre prevedere una regolamentazione precisa delle modalità di esercizio della responsabilità genitoriale. La soluzione generalmente adottata è quella dell’affidamento condiviso, che consente a entrambi i genitori di partecipare alle decisioni più rilevanti per la vita del figlio, pur prevedendo – spesso – la collocazione del minore presso uno dei due genitori, che assume il ruolo di genitore collocatario principale.

Tale genitore, oltre a garantire la continuità della vita quotidiana del minore, ha la responsabilità di agevolare il mantenimento di un rapporto equilibrato con l’altro genitore, nel rispetto del diritto del figlio alla bigenitorialità.

Per evitare interpretazioni ambigue e possibili contestazioni, l’accordo deve indicare tempi e modalità di permanenza del minore con ciascun genitore, stabilendo, ad esempio, la suddivisione dei fine settimana o la gestione dei giorni feriali.

Di norma l’accordo stabilisce una suddivisione equilibrata delle principali festività, come Natale, Pasqua e Capodanno, alternando i giorni tra i genitori di anno in anno. Per quanto riguarda le vacanze estive, l’accordo può prevedere un periodo minimo e massimo di permanenza del minore con ciascun genitore, stabilendo termini di preavviso per la scelta delle date e regolamentando eventuali soggiorni fuori dalla residenza abituale del minore.

Un’ulteriore clausola di rilievo riguarda il consenso per viaggi all’estero. Per evitare disaccordi futuri, l’accordo deve chiarire se il genitore che intende portare il minore all’estero per un periodo determinato debba ottenere il consenso dell’altro genitore. Nella maggior parte dei casi, si prevede l’obbligo di informare preventivamente l’altro genitore della destinazione e della durata del soggiorno, con la necessità di ottenere un consenso scritto nel caso di viaggi prolungati o al di fuori dell’Unione Europea.

Conclusioni: l’assistenza legale nella negoziazione assistita familiare

La negoziazione assistita familiare rappresenta una soluzione efficace e innovativa per la regolamentazione del mantenimento dei figli e delle modalità di affidamento, consentendo ai genitori di adottare un approccio collaborativo e di evitare il ricorso alla giurisdizione ordinaria.

Questo strumento consente di gestire le conseguenze della cessazione della convivenza con maggiore flessibilità e rapidità, e con un notevole risparmio di costi.

Rivolgersi a un avvocato è essenziale per intraprendere la procedura in modo corretto e per redigere un accordo conforme alle disposizioni normative.

Lo Studio Legale D’Agostino è a disposizione per fornire consulenza e assistenza legale a chi intenda regolare in modo consensuale il mantenimento dei figli e le modalità di affidamento, garantendo un supporto professionale qualificato in tutte le fasi della negoziazione assistita.

 

Acquisto di quote tra professionisti in un ufficio moderno con vista su Roma, rappresentante l'assistenza legale in negoziazione assistita e mediazione.

Negoziazione assistita familiare e mediazione – Studio Legale Avvocato Luca D’Agostino

Sospensione condizionale della pena ed estinzione del reato (art. 167 c.p. e 676 c.p.p.): il ruolo dell’avvocato nell’esecuzione penale

Sospensione condizionale della pena ed estinzione del reato (art. 167 c.p. e 676 c.p.p.): il ruolo dell’avvocato nell’esecuzione penale

La sospensione condizionale della pena è un istituto assai rilevante nella prassi processuale, concepito per perseguire un obiettivo di proporzionalità e adeguatezza in concreto della risposta punitiva dello Stato. Questo istituto, disciplinato principalmente dagli artt. 163 e seguenti del Codice Penale, si configura come un beneficio per il condannato. In questo articolo, afferente alla rubrica sull‘esecuzione penale, saranno esaminati brevemente i profili processuali e sostanziali dell’istituto.

Il giudice, ricorrendo determinati presupposti, potrà sospendere l’esecuzione di una pena detentiva o pecuniaria, a condizione che il condannato rispetti determinati requisiti e obblighi previsti dalla legge. Tale sospensione non elimina la condanna, ma ne differisce gli effetti, subordinandoli alla condotta futura del condannato.

L’essenza della sospensione condizionale risiede dunque nella valutazione prognostica che il giudice è chiamato a compiere al momento della sentenza. La concessione del beneficio presuppone che il soggetto condannato sia considerato meritevole di un’opportunità per dimostrare il proprio ravvedimento, evitando così l’applicazione concreta della pena. In tal senso, l’istituto rappresenta un punto di equilibrio tra la funzione retributiva e quella rieducativa della pena, ponendosi come strumento utile per prevenire la recidiva e favorire il reinserimento sociale.

Per garantire un’applicazione rigorosa e conforme ai principi di giustizia, la sospensione condizionale della pena può essere concessa solo in presenza di specifici requisiti, sia oggettivi che soggettivi. Essa si applica, infatti, a pene non superiori a determinati limiti temporali stabiliti dalla legge e richiede che il condannato non abbia già beneficiato in passato dello stesso istituto, salvo particolari eccezioni.

La misura, dunque, non costituisce un diritto automatico per il condannato, ma una facoltà discrezionale attribuita al giudice, il quale deve valutare caso per caso l’idoneità della sospensione a realizzare le finalità di rieducazione e prevenzione previste dall’ordinamento.

Sospensione condizionale della pena: requisiti e condizioni

La sospensione condizionale della pena, disciplinata dall’art. 163 del Codice Penale, può essere concessa esclusivamente in presenza di requisiti specifici, sia oggettivi che soggettivi, il cui accertamento è demandato al giudice al momento della sentenza.

In primo luogo, la pena inflitta non deve superare determinati limiti temporali, che variano in base alla natura del reato e alle caratteristiche del soggetto condannato. Per le pene detentive, il limite massimo è fissato generalmente a due anni; tuttavia, per i minori di diciotto anni o per i soggetti di età compresa tra i diciotto e i ventuno anni, il limite è elevato a tre anni, come previsto dal secondo comma dell’art. 163 c.p. Analogamente, per gli ultrasettantenni, la sospensione può essere applicata per pene detentive non superiori a due anni e sei mesi.

Oltre ai limiti di pena, la concessione della sospensione condizionale richiede che il condannato non abbia beneficiato dello stesso istituto in precedenza. La legge, infatti, consente una seconda sospensione soltanto qualora la pena da infliggere, cumulata con quella irrogata con la precedente condanna anche per delitto, non superi i limiti stabiliti dall’articolo 163.

In ogni caso, il giudice deve valutare la gravità del reato, l’indole del condannato e le circostanze che caratterizzano il fatto, al fine di determinare se il beneficio possa favorire un’effettiva reintegrazione sociale del soggetto.

Nell’applicazione della sospensione condizionale è fondamentale chiarire la durata del periodo di prova, durante il quale il condannato dovrà astenersi dal commettere nuovi reati e rispettare gli eventuali obblighi imposti dal giudice. Tale periodo, fissato in cinque anni per i delitti e in due anni per le contravvenzioni, costituisce un banco di prova per il condannato, il cui comportamento durante questo lasso di tempo è determinante ai fini dell’estinzione del reato ai sensi dell’art. 167 c.p. In caso di violazione delle condizioni imposte o di commissione di nuovi reati, la sospensione viene revocata e la pena diventa esecutiva.

Obblighi connessi alla sospensione condizionale della pena

La sospensione condizionale della pena, oltre a essere subordinata alla sussistenza dei requisiti previsti dall’art. 163 c.p., può comportare specifici obblighi per il condannato, delineati nell’art. 165 c.p. Questi obblighi sono finalizzati a garantire che il beneficio non si traduca in una mera sospensione della pena, ma in un percorso che favorisca la riparazione del danno causato e il reinserimento sociale del condannato.

Il giudice, nell’esercizio del proprio potere discrezionale, potrà subordinare la concessione della sospensione condizionale all’adempimento di determinati obblighi. Tra questi rientrano il pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno o di una somma provvisoriamente assegnata, nonché l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato.

In aggiunta, il condannato può essere chiamato a prestare un’attività non retribuita a favore della collettività, a condizione che tale obbligo non superi la durata della pena sospesa e che il condannato vi acconsenta espressamente.

L’art. 165 c.p. prevede inoltre che, nel caso in cui il condannato abbia già beneficiato di una sospensione condizionale precedente, la concessione di un ulteriore beneficio sia obbligatoriamente subordinata all’adempimento di uno degli obblighi sopra descritti. Questa previsione mira a rafforzare il carattere rieducativo della misura, assicurando che il condannato si impegni concretamente per attenuare le conseguenze del reato.

Il termine per l’adempimento degli obblighi è stabilito dal giudice nella sentenza, ed è fondamentale che il condannato li rispetti nei tempi indicati. Il mancato rispetto degli obblighi imposti comporta infatti la revoca della sospensione condizionale, come previsto dall’art. 168 c.p., con la conseguente esecuzione della pena sospesa.

Effetti e revoca della sospensione condizionale della pena

La sospensione condizionale della pena, come sancito dall’art. 166 c.p., si estende alle pene accessorie, salvo i casi in cui il giudice (per determinati reati) disponga diversamente. Ciò garantisce al condannato la possibilità di non subire ulteriori conseguenze negative derivanti dalla condanna, favorendo il suo reinserimento nella società.

Tuttavia, gli effetti benefici della sospensione condizionale possono venir meno nel caso in cui il condannato non rispetti le condizioni imposte. Ai sensi dell’art. 168 c.p., la sospensione è revocata di diritto qualora, durante il periodo di prova, il condannato commetta un delitto o una contravvenzione della stessa indole per cui venga inflitta una pena detentiva, o qualora non adempia agli obblighi stabiliti dal giudice. La revoca si applica anche nel caso in cui il condannato riporti una condanna per un delitto commesso anteriormente, qualora la pena cumulata superi i limiti previsti dall’art. 163 c.p.

È inoltre prevista la possibilità di una revoca discrezionale da parte del giudice, qualora la nuova condanna per un delitto anteriormente commesso non superi i limiti di pena stabiliti dalla legge, ma la gravità del reato o le circostanze facciano ritenere che il condannato non sia più meritevole del beneficio.

L’estinzione del reato dopo la sospensione condizionale della pena

Uno degli aspetti più significativi della sospensione condizionale della pena è la possibilità, al termine del periodo di prova, di ottenere l’estinzione del reato. Questo beneficio è disciplinato dall’art. 167 c.p., che sancisce l’estinzione del reato qualora il condannato, nei termini previsti, non commetta nuovi delitti o contravvenzioni della stessa indole e adempia agli obblighi imposti dal giudice nella sentenza.

Ad ogni modo, l’effetto estintivo dovrà essere dichiarato dal giudice dell’esecuzione, previo accertamento di tutti i presupposti di legge. Invero, una volta decorso il termine del periodo di prova, occorre una dichiarazione formale di estinzione del reato ai sensi dell’art. 676 c.p.p. Tale giudice, su istanza del condannato redatta per il tramite di un avvocato, verifica il rispetto delle condizioni previste e, in caso di esito positivo, emette un’ordinanza che attesta l’estinzione del reato.

Come presentare l’istanza di estinzione del reato dopo la sospensione condizionale

La procedura per ottenere la dichiarazione formale di estinzione del reato a seguito della sospensione condizionale della pena è disciplinata dall’art. 676 del Codice di Procedura Penale. Una volta decorso il periodo di prova, spetta al giudice dell’esecuzione il compito di accertare il rispetto delle condizioni previste dalla legge e di dichiarare, tramite apposita ordinanza, l’estinzione del reato. Questo passaggio, pur essendo di carattere prevalentemente formale, è fondamentale per il condannato.

Per avviare la procedura, il reo – generalmente tramite il proprio difensore – deve presentare un’apposita istanza al giudice dell’esecuzione competente. L’istanza deve contenere tutti i riferimenti necessari per identificare il procedimento penale di condanna, come il numero di registro generale e il numero di sentenza, e deve essere corredata dai documenti che dimostrano il rispetto delle condizioni previste.

Tra questi rientrano il certificato del casellario giudiziale, da cui deve risultare l’assenza di nuovi reati commessi durante il periodo di prova, e la documentazione che attesti l’adempimento degli obblighi imposti dal giudice ai sensi dell’art. 165 c.p.

Una volta ricevuta l’istanza, il giudice dell’esecuzione procede senza formalità e, sulla base degli atti, emette un’ordinanza che dichiara l’estinzione del reato, purché siano soddisfatte tutte le condizioni richieste. Ai sensi dell’art. 667, comma 4, c.p.p., l’ordinanza deve essere comunicata al pubblico ministero e notificata al condannato e al suo difensore. Contro tale provvedimento è possibile proporre opposizione entro quindici giorni, ma solo nel caso in cui vi siano contestazioni sulla sussistenza dei presupposti per l’estinzione.

È importante sottolineare che l’istanza deve essere presentata al più presto e corredata di tutta la documentazione necessaria, poiché eventuali lacune potrebbero ritardare il riconoscimento dell’estinzione del reato.

Per questo motivo, il supporto di un legale esperto è essenziale, sia per assicurare il corretto adempimento degli obblighi durante il periodo di prova, sia per curare con precisione la fase finale del procedimento esecutivo.

Sospensione condizionale ed estinzione del reato: perché rivolgersi a un avvocato penalista

L’estinzione del reato, conseguente al decorso positivo del termine di sospensione, sancisce l’esito del processo “riabilitativo” del condannato. Questo risultato, però, non è automatico: richiede una condotta rigorosamente conforme alle prescrizioni di legge e un’attenta gestione delle formalità necessarie per ottenere la dichiarazione di estinzione. In questo senso, l’ordinanza del giudice dell’esecuzione rappresenta l’atto conclusivo di un percorso che valorizza la condotta del reo conforme alle prescrizioni impartite.

La corretta applicazione della sospensione condizionale della pena e la conseguente estinzione del reato necessitano di una conoscenza approfondita delle norme e di una gestione accurata dei passaggi processuali. Il supporto di un avvocato esperto è essenziale per garantire il rispetto delle condizioni imposte dal giudice e per assistere il condannato nelle fasi conclusive del procedimento esecutivo, assicurando così che i diritti e le opportunità offerte da questo istituto siano pienamente tutelati.

Per ulteriori informazioni o per ricevere assistenza specifica in materia, non esitate a contattare il nostro Studio Legale.

 

Immagine di una prigione moderna con un documento su cui è scritto 'Post-Conviction Relief', rappresentante l'assistenza legale nell'esecuzione penale, condanna, appello e annullamento della condanna.

Esecuzione penale, assistenza legale negli incidenti di esecuzione – Studio Legale Avvocato Luca D’Agostino a Roma.