Diffamazione online: articoli telematici e social network. 3 regole per una tutela penale e civile efficace

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Diffamazione online: articoli telematici e social network. 3 regole per una tutela penale e civile efficace

da | Nov 1, 2024 | Diritto Penale

La diffamazione online è uno dei temi più attuali nel panorama del diritto penale. Se ne parla sempre più spesso a proposito della libertà di espressione e dell’uso dei mezzi di comunicazione digitale. Nell’era dei social network e della condivisione istantanea di contenuti, il rischio di ledere la reputazione altrui mediante commenti, post o articoli telematici è sempre più concreto. Spesso il ruolo dell‘avvocato penalista si rileva fondamentale.

Invero, la diffamazione online si distingue dalle forme tradizionali di diffamazione per la sua capacità di propagarsi rapidamente a un pubblico vasto, amplificando l’impatto dell’offesa e causando danni potenzialmente elevati alla dignità e alla reputazione della persona colpita.

L’obiettivo di questo articolo è fornire una sintesi delle caratteristiche del reato e della sua applicazione giurisprudenziale, avuto riguardo in particolare a casi di diffamazione online (mediante web, articoli pubblicati su testate telematiche, blog e forum, social network etc.).

Per affrontare la diffamazione online in modo efficace, analizzeremo i principali strumenti di tutela penale e, da diversa prospettiva, le modalità per ottenere un risarcimento dei danni subiti attraverso le vie civili.

Inoltre, questo articolo presenta tre regole fondamentali per una tutela penale efficace contro la diffamazione online: cautela, tempestività e acquisizione. La prima regola, la cautela, implica che la persona colpita da diffamazione mantenga sempre una condotta contenuta nelle proprie reazioni, evitando di rispondere alle provocazioni in modo impulsivo, poiché ogni replica può aggravare la situazione giuridica e compromettere le possibilità di tutela.

La seconda regola, la tempestività, evidenzia l’importanza di rivolgersi a un avvocato specializzato senza indugi, per evitare che decorrano i termini entro cui è possibile proporre querela e avviare il procedimento penale.

La terza regola, infine, riguarda l’acquisizione delle prove: la raccolta meticolosa di tutti gli elementi di prova, inclusi screenshot, link e metadati, è fondamentale per dimostrare i fatti avvenuti e supportare la propria versione dei fatti.

Affidarsi a un avvocato per un supporto legale è un passaggio di estrema importanza per chiunque subisca un danno reputazionale sul web. Solo una consulenza legale specializzata può assicurare che il percorso di tutela sia efficace e completo, sia nella fase penale che in quella civile.

Diffamazione online: definizione e caratteristiche del reato

La diffamazione online configura una particolare ipotesi di reato caratterizzata dalla diffusione di un’espressione lesiva della reputazione altrui attraverso mezzi telematici. La fattispecie è regolata dall’art. 595 del codice penale, che prevede la tutela della reputazione personale contro offese che ledano l’onore e la dignità dell’individuo, qualunque sia il mezzo utilizzato per la propalazione.

Anche per la configurazione della diffamazione online, come quella “analogica”, è necessario che l’offesa sia percepita da una pluralità di destinatari e che il soggetto passivo non sia presente al momento della diffusione. La qualificazione della diffamazione come reato d’evento richiede, inoltre, che l’espressione lesiva produca un’effettiva percezione da parte di terzi.

Nell’ambito telematico, il carattere pubblicistico delle piattaforme digitali conferisce alla diffamazione online una peculiare capacità diffusiva, amplificando la portata dell’offesa. La giurisprudenza – come si vedrà – riconosce che la divulgazione di contenuti diffamatori tramite internet realizza un’ipotesi aggravata di cui all’art. 595, comma 3, c.p., in quanto commessa mediante un mezzo capace di raggiungere una pluralità di soggetti in modo simultaneo e indiscriminato.

Tale circostanza giustifica un aggravio della sanzione, data la potenziale maggiore lesività per la persona offesa. In questo senso, la diffamazione online tramite articoli telematici, social network e altre piattaforme di comunicazione digitale è stata assimilata a una pubblicazione idonea a ledere significativamente la reputazione, configurando un danno alla dignità personale in proporzione all’ampiezza del pubblico raggiunto.

Il reato di diffamazione online assume quindi una dimensione autonoma nel contesto giuridico, richiedendo un’attenta analisi delle modalità espressive e delle circostanze di pubblicazione. La giurisprudenza, negli ultimi anni, ha delineato specifici criteri per valutare la rilevanza penale di commenti, condivisioni e apprezzamenti espressi online, come i “like”, qualora questi ultimi comportino un’adesione consapevole a contenuti lesivi della reputazione altrui.

Nell’interpretazione della Corte di Cassazione, ogni condotta che concorra a diffondere o confermare il contenuto diffamatorio integra una partecipazione rilevante ai fini penali, potendo altresì aggravare la lesione della sfera morale della persona offesa.

Diffamazione online e responsabilità del direttore di periodico telematico: l’evoluzione giurisprudenziale

La questione della diffamazione online mediante testate telematiche e la possibilità di estendere la responsabilità penale del direttore responsabile ex art. 57 c.p. ha generato una copiosa evoluzione giurisprudenziale, che potremmo ripercorrere in tre momenti fondamentali.

Il primo passaggio si rinviene nella sentenza della Corte di Cassazione, Sezione V Penale, 16 luglio 2010, n. 35511, la quale – come storicamente sempre affermato dalla Suprema Corte –  ha chiarito come il dettato dell’art. 57 c.p. non sia applicabile ai periodici telematici, escludendo quindi qualsiasi forma di responsabilità per omesso controllo a carico del direttore responsabile di una testata online.

La Corte ha evidenziato che «l’ambito di operatività dell’art. 57 c.p. è dunque circoscritto alla sola carta stampata» e ha sottolineato come sia vietato un ampliamento interpretativo del concetto di “stampa” per includervi le testate online.

Secondo i giudici, il principio di tassatività del diritto penale impone che l’art. 57 c.p. si applichi esclusivamente alla stampa periodica cartacea, con esclusione dei periodici digitali, poiché “la legge è inequivoca” in tal senso. Questa sentenza ha pertanto sancito il divieto di analogia in malam partem per estendere la responsabilità del direttore di un periodico telematico al reato di diffamazione online.

Il secondo passaggio evolutivo si concretizza nella pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, sentenza 17 luglio 2015, n. 31022. In questa occasione, la Corte ha preso in esame la questione del sequestro preventivo di una pagina web contenente contenuti diffamatori, stabilendo un’importante distinzione.

Pur confermando che la responsabilità penale prevista dall’art. 57 c.p. non si estende alle testate online, la Corte ha affermato che, qualora un periodico telematico sia strutturato in modo simile alla stampa cartacea, ossia con una redazione organizzata e un direttore responsabile, esso può rientrare nella nozione di “stampa” ai soli fini del sequestro preventivo, senza che ciò comporti una responsabilità penale per il direttore.

Tale orientamento, in bonam partem, ha consentito di includere i quotidiani telematici all’interno della disciplina della stampa tradizionale, ma solo per limitare l’intervento cautelare al fine di impedire la diffusione di contenuti lesivi della reputazione altrui.

Come precisato dalla Corte, «nel concetto di “stampa” devono rientrare anche i quotidiani o i periodici on line regolarmente registrati» qualora abbiano «le caratteristiche e la struttura di un vero e proprio giornale cartaceo», ma tale assimilazione è limitata esclusivamente alla tutela della persona offesa tramite il sequestro, escludendo qualsiasi ampliamento della responsabilità penale del direttore ai sensi dell’art. 57 c.p.

Il terzo e più recente passaggio giurisprudenziale è rappresentato dalla sentenza della Corte di Cassazione, Sezione V Penale, 23 ottobre 2018, n. 1275, che ha introdotto un cambiamento significativo nell’interpretazione della diffamazione online commessa tramite testate telematiche.

In questa pronuncia, la Corte ha stabilito che, laddove un periodico telematico sia strutturato come una testata tradizionale, con un direttore responsabile e una redazione organizzata, si configura una responsabilità per omesso controllo ai sensi dell’art. 57 c.p. In tal modo, la Corte ha esteso la portata applicativa dell’art. 57 anche ai periodici digitali, ma in malam partem, interpretando la norma nel senso che «il termine “stampa” ha anche un significato figurato» e, pertanto, include «i giornali in ogni loro forma divulgativa, che sono strumento elettivo dell’informazione».

Tale interpretazione si è basata sul concetto che l’organizzazione strutturata di una testata digitale, con un direttore e una redazione, rende il periodico telematico idoneo a raggiungere un pubblico ampio e a determinare, per tale motivo, una responsabilità penale per il direttore in caso di mancato controllo su contenuti diffamatori. In tale pronuncia, la Corte ha escluso tuttavia l’applicabilità dell’art. 57 c.p. ad altri mezzi di manifestazione del pensiero, quali blog, forum, o social network, limitando la responsabilità del direttore esclusivamente alle testate giornalistiche registrate e aventi struttura assimilabile a quella di una testata cartacea.

Questa evoluzione giurisprudenziale sulla diffamazione online mostra dunque un graduale passaggio da un’interpretazione restrittiva dell’art. 57 c.p., applicabile solo alla stampa cartacea, a una lettura che considera, con maggior ampiezza, anche le testate telematiche, sebbene con importanti limitazioni ai fini dell’applicabilità penale.

Diffamazione online e social network: responsabilità penale per commenti e condivisioni

La diffamazione online assume contorni peculiari nel contesto dei social network, dove commenti, condivisioni e apprezzamenti possono acquisire rilevanza penale qualora siano lesivi della reputazione altrui. La giurisprudenza ha affrontato in modo sistematico la problematica della responsabilità dell’utente che, interagendo su piattaforme come Facebook o Twitter, diffonda o contribuisca alla diffusione di contenuti offensivi.

La Cassazione ha stabilito che la diffamazione online realizzata tramite social network può configurare un’ipotesi di reato aggravato ai sensi dell’art. 595, comma 3, c.p., poiché tale mezzo di comunicazione, in ragione della sua ampia capacità diffusiva, è idoneo a raggiungere una pluralità di destinatari in tempi brevi e con effetti amplificati.

Per quanto riguarda le condivisioni, la giurisprudenza prevalente ritiene che la mera condivisione di un messaggio diffamatorio non integri necessariamente gli estremi della diffamazione online ai sensi dell’art. 595 c.p., sebbene vi siano circostanze in cui tale atto può essere considerato penalmente rilevante.

Secondo la Cassazione, «la condotta materiale [dell’utente che condivide] non evidenzia oggettivamente alcuna adesione ai contenuti offensivi, laddove non emergano elementi che indichino un’intenzione di rafforzare l’offesa alla persona». La valutazione della responsabilità per condivisione richiede, quindi, un’analisi delle modalità concrete in cui tale condotta è stata posta in essere, considerando se l’utente abbia manifestato una volontà di sostenere o intensificare l’offesa.

In relazione alla manifestazione di gradimento tramite “like” o altre reazioni, la giurisprudenza ha riconosciuto che tali interazioni sono spesso ambigue e non sempre esprimono un’adesione alla portata diffamatoria del messaggio.

Tuttavia, qualora un utente apponga un “like” su un post offensivo, senza ulteriori espressioni di dissenso, potrebbe desumersi una volontà di supporto implicito al contenuto diffamatorio, configurando quindi una partecipazione indiretta alla diffamazione online. È stato inoltre evidenziato che il ruolo degli algoritmi di visibilità di alcune piattaforme social, come Instagram, che aumentano la diffusione dei post apprezzati da un numero elevato di utenti, può potenzialmente contribuire all’effetto lesivo dell’offesa.

Nonostante ciò, la giurisprudenza ritiene che la mera reazione di gradimento, di per sé, non sia sufficiente a integrare la condotta tipica di cui all’art. 595 c.p., costituendo, al limite, un’ipotesi di reato impossibile ai sensi dell’art. 49, comma 2, c.p., laddove non sia provato l’intento di esaltare o promuovere il contenuto diffamatorio.

In definitiva, la responsabilità per diffamazione online sui social network si configura prevalentemente nei casi in cui il commento o la condivisione risulti palesemente offensiva e diretta a una pluralità di destinatari, rafforzando l’offesa arrecata. Il contesto e le modalità della comunicazione, nonché la consapevolezza dell’utente in merito alla portata lesiva del contenuto, restano criteri determinanti per configurare o escludere la responsabilità penale in queste fattispecie.

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Diffamazione online e diffamazione non nominativa: quando l’identificazione è implicita

La diffamazione online può configurarsi anche in assenza di un riferimento nominativo esplicito alla persona offesa, purché l’identificazione del soggetto leso risulti possibile per una cerchia di destinatari del messaggio. La giurisprudenza di legittimità ha affermato che è sufficiente che il soggetto la cui reputazione è lesa sia individuabile da un gruppo di persone, anche senza un’esplicita menzione del nome.

La Cassazione ha statuito che «per la configurazione del reato di diffamazione è sufficiente che il soggetto leso sia individuabile da parte di un numero limitato di persone, indipendentemente dalla indicazione nominativa» (Cass. Pen., Sez. I, 16 aprile 2014, n. 16712).

Un esempio significativo si rinviene nel caso esaminato dalla Corte Militare d’Appello di Roma, in cui l’imputato era stato assolto in appello con la motivazione che l’identificazione della persona offesa risultava possibile solo per una ristretta cerchia di soggetti sul social network e in assenza di riferimenti nominativi. Tuttavia, la Cassazione ha annullato tale pronuncia, rilevando che anche una cerchia ristretta di individui, legati in modo più o meno stretto alla persona offesa, può percepire la lesività del contenuto diffamatorio, rendendo irrilevante l’assenza di un riferimento diretto.

La Corte ha stabilito che, qualora gli elementi descrittivi contenuti nel messaggio permettano a una specifica cerchia di soggetti di identificare il destinatario dell’offesa, la diffamazione online è configurata anche se l’autore del messaggio utilizza espressioni volutamente generiche o allusive.

Secondo la giurisprudenza, la valutazione della diffamazione online non nominativa richiede un’analisi del contesto sociale e delle relazioni tra i soggetti coinvolti, tenendo conto di fattori quali la familiarità del pubblico di riferimento con la vittima e la possibilità che la descrizione generica conduca all’identificazione del soggetto offeso. È quindi necessario che l’espressione offensiva assuma un significato univoco per i destinatari, anche in assenza di una menzione esplicita, e che il contenuto sia percepito come riferito al soggetto leso all’interno della specifica comunità online.

L’identificabilità implicita costituisce, quindi, un criterio di fondamentale rilevanza nel determinare la sussistenza della diffamazione online non nominativa. La giurisprudenza richiede, a tal fine, che il giudice verifichi la riferibilità soggettiva delle espressioni utilizzate, prendendo in considerazione il contesto digitale e l’accesso selettivo al contenuto da parte di una cerchia specifica di soggetti, affinché sia garantita la tutela della reputazione anche in caso di offese indirette.

Diffamazione online e il locus commissi delicti: questioni relative alla competenza territoriale

La determinazione del locus commissi delicti nella diffamazione online rappresenta una questione di particolare complessità, data la natura ubiquitaria e pervasiva delle comunicazioni digitali. La giurisprudenza ha dovuto affrontare la difficoltà di individuare il luogo in cui si consuma il reato, poiché, nell’ambito telematico, la diffusione del messaggio offensivo può avvenire a livello globale e la sua percezione non è vincolata a una specifica area geografica. In questo contesto, la Corte di Cassazione ha delineato un principio fondamentale: la diffamazione online è un reato di evento, la cui consumazione è legata alla percezione del messaggio lesivo da parte di terzi.

La sentenza della Cassazione, Sez. V Penale, 17 novembre 2000, n. 4741, ha chiarito che la consumazione del reato di diffamazione non si verifica al momento della pubblicazione del contenuto diffamatorio, bensì quando il messaggio offensivo viene percepito dai destinatari, i quali costituiscono il “pubblico” che consente la concretizzazione dell’offesa.

In tale sentenza, la Corte ha stabilito che, per quanto riguarda i reati commessi tramite internet, il momento consumativo della diffamazione online coincide con il momento in cui il messaggio è percepito da soggetti «terzi» rispetto all’autore e alla persona offesa.

Questo orientamento comporta che, una volta che il contenuto diffamatorio sia stato visualizzato anche sul territorio italiano, la giurisdizione e la competenza territoriale si radicano presso il giudice italiano, indipendentemente dal luogo in cui il messaggio è stato originariamente generato e pubblicato.

Per stabilire la competenza territoriale all’interno dell’Italia, si è affermata la prassi di considerare il luogo di residenza, domicilio o dimora della persona offesa come riferimento territoriale, partendo dal presupposto che il soggetto leso abbia potuto accedere al contenuto lesivo nel luogo in cui abitualmente dimora. Questo principio consente al giudice competente di fondare la propria giurisdizione sulla base dell’effettiva percezione del danno morale subito dalla vittima, conferendo così un criterio chiaro per la proposizione della querela e per l’eventuale azione risarcitoria.

La diffamazione online presenta, dunque, una configurazione territoriale peculiare, dove il luogo di consumazione del reato viene individuato non in relazione alla fonte della pubblicazione, bensì al luogo di percezione del contenuto diffamatorio da parte della persona offesa. Tale approccio permette di tutelare adeguatamente la dignità e la reputazione dell’individuo, in un contesto in cui la comunicazione digitale trascende le barriere geografiche e richiede, pertanto, una regolamentazione adeguata a una rete globalmente accessibile.

Diffamazione online: aggravante del mezzo di pubblicità e tutela risarcitoria in sede civile

La diffamazione online è comunemente trattata come una fattispecie aggravata ai sensi dell’art. 595, comma 3, c.p., in quanto realizzata mediante un mezzo di pubblicità idoneo a determinare una maggiore diffusività dell’offesa.

La giurisprudenza di legittimità ha stabilito che, nel contesto digitale, il reato di diffamazione si configura in forma aggravata poiché il mezzo telematico consente di raggiungere un numero potenzialmente indeterminato di persone, aumentando l’intensità del danno alla persona offesa. La Cassazione ha chiarito che l’aggravante si giustifica per la natura del mezzo utilizzato, il quale, «per potenzialità e idoneità, è capace di coinvolgere e raggiungere una pluralità di persone […] cagionando un maggiore e più diffuso danno alla persona offesa» (Cass. Pen., Sez. I, 28 aprile 2015, n. 24431).

La diffusione dell’offesa tramite piattaforme digitali e social network comporta quindi un aggravio della responsabilità dell’autore, poiché la comunicazione virtuale amplifica l’impatto della lesione reputazionale.

A fronte di tale potenziale gravità, la persona offesa dalla diffamazione online dispone di strumenti di tutela non solo in ambito penale, ma anche sul piano civile, tramite un’azione risarcitoria finalizzata alla riparazione dei danni morali e materiali subiti.

L’azione civile per risarcimento danni è accessibile sia mediante costituzione di parte civile nel processo penale, sia tramite avvio di un autonomo procedimento civile. La giurisprudenza civile ha stabilito che il danno risarcibile può comprendere sia il pregiudizio alla sfera morale, per la sofferenza e il discredito subito dalla vittima, sia il danno patrimoniale, qualora la diffamazione online abbia compromesso la posizione sociale o professionale del soggetto leso. In particolare, l’accertamento della sussistenza e della quantificazione del danno subito presuppone una valutazione complessiva del contesto in cui si è verificata la diffamazione, della notorietà della persona offesa e dell’ampiezza della diffusione dell’offesa.

In ambito civile, la persona danneggiata dalla diffamazione online può inoltre agire per ottenere la rimozione dei contenuti lesivi e la pubblicazione della sentenza di condanna, al fine di ripristinare la propria reputazione.

La combinazione degli strumenti penali e civili risulta particolarmente efficace in caso di diffamazione telematica, consentendo alla vittima di perseguire un’adeguata riparazione per l’offesa subita e di proteggere la propria immagine nell’ambiente sociale e professionale di appartenenza. Tali rimedi giuridici, posti in essere con l’assistenza di un legale specializzato, assicurano una tutela integrata della persona offesa, che può così affrontare gli effetti della diffamazione online su più fronti, ottenendo giustizia sia in termini di sanzione all’autore del reato, sia in termini di risarcimento e ripristino dell’onore leso.

Conclusioni: tre regole per una tutela penale efficace contro la diffamazione online

La diffamazione online, per la sua pervasività e capacità di causare danni reputazionali estesi, richiede strumenti di tutela che agiscano su più livelli, sia sul piano penale che civile. La giurisprudenza italiana ha delineato un quadro di interventi che permettono alla persona offesa di reagire in modo efficace, grazie alla possibilità di perseguire non solo l’autore dell’offesa, ma anche eventuali responsabili editoriali nel caso delle testate telematiche registrate.

Per affrontare efficacemente una diffamazione online, è utile seguire tre regole fondamentali che garantiscono una maggiore tutela e protezione dei propri diritti:

  1. Cautela: è fondamentale evitare di rispondere alle provocazioni in modo impulsivo o aggressivo. Mantenere una continenza espositiva è essenziale per non aggravare la situazione e per conservare una condotta coerente con i requisiti richiesti per avviare una querela per diffamazione. La cautela impedisce che eventuali reazioni inopportune possano essere utilizzate contro la vittima stessa, compromettendo la possibilità di ottenere giustizia.
  2. Tempestività: è determinante per la difesa dei propri diritti. È necessario rivolgersi prontamente a un avvocato specializzato in diritto penale, per assicurarsi che i termini per la proposizione della querela non vengano superati. Ai sensi dell’art. 120 c.p., il termine per presentare querela è di tre mesi dalla conoscenza del fatto lesivo, decorso il quale il reato non sarà più perseguibile. Agire tempestivamente garantisce l’accesso alla tutela penale e consente all’avvocato di predisporre una strategia di difesa adeguata.
  3. Acquisizione delle prove: raccogliere e conservare tutte le prove disponibili è un passaggio cruciale per l’azione legale. Screenshot, link, metadati e altre evidenze digitali devono essere raccolti per documentare la lesione subita e facilitare il lavoro di difesa da parte del legale. L’acquisizione meticolosa degli elementi di prova permette di rafforzare la propria posizione e di ottenere un riscontro più solido nei confronti dell’autore dell’offesa.

Seguendo queste tre regole, è possibile intraprendere un percorso di tutela contro la diffamazione online con maggiori probabilità di successo. Affidarsi allo Studio Legale D’Agostino consente di orientarsi nelle complessità del diritto e ottenere una tutela effettiva delle proprie ragioni.

 

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