Reati di pornografia minorile. Una tutela penale efficace dopo la Legge 238/2021

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Reati di pornografia minorile. Una tutela penale efficace dopo la Legge 238/2021

da | Ott 23, 2024 | Diritto Penale

La pornografia minorile rappresenta una delle forme più gravi di sfruttamento sessuale, resa ancora più pericolosa dall’ampia diffusione delle reti di comunicazione elettronica. Internet ha permesso agli individui di interagire su scala globale tramite chatroom, social network e servizi di messaggistica, ma questo ha anche creato un ambiente favorevole per la realizzazione di illeciti, inclusa la pornografia minorile e il cyberbullismo.

L’anonimato offerto dalle piattaforme online ha infatti incentivato la creazione, distribuzione e commercializzazione di materiale pedopornografico, rendendo difficile l’identificazione e la persecuzione dei responsabili.

In Italia, il reato di pornografia minorile è regolato dall’art. 600-ter del codice penale, che punisce tutte le condotte che sfruttano sessualmente i minori attraverso la produzione, distribuzione o possesso di materiale pedopornografico. Sebbene la legge sia chiara nella sua definizione, la portata di questo crimine è estesa da una connessione globale, che permette ai colpevoli di operare anche al di fuori dei confini nazionali. Il contrasto al fenomeno richiede quindi non solo una rigorosa applicazione delle norme nazionali, ma anche la cooperazione internazionale.

Un elemento chiave che emerge dalla giurisprudenza è la difficoltà nell’accertare la diffusione del materiale pedopornografico. In particolare, la sentenza delle Sezioni Unite ha chiarito che non è necessario dimostrare il pericolo concreto di diffusione per configurare il reato di produzione di materiale pornografico minorile. Questo rappresenta un importante progresso nel trattamento giuridico del fenomeno, considerando la crescente facilità con cui i contenuti possono essere condivisi su scala globale. La creazione del materiale, infatti, è considerata di per sé lesiva della dignità del minore, indipendentemente dal suo successivo utilizzo.

L’obiettivo di questo articolo è quello di approfondire il fenomeno della pornografia minorile, evidenziando il quadro normativo attuale e i principali orientamenti della giurisprudenza in materia.

Le norme internazionali e sovranazionali contro la pornografia minorile

A livello internazionale, la lotta contro la pornografia minorile ha preso forma attraverso una serie di convenzioni e trattati volti a contrastare lo sfruttamento sessuale dei minori. Tra i principali documenti normativi spicca la Convenzione ONU sui Diritti dell’infanzia del 1989 e il Protocollo Opzionale di New York del 2000, che ha posto l’accento sulla necessità di criminalizzare la produzione, diffusione e possesso di materiale pedopornografico.

Il Consiglio d’Europa ha adottato diverse iniziative normative, tra cui la Convenzione di Budapest sul Cybercrime (2001), che ha rappresentato un pilastro nella criminalizzazione della pornografia minorile. L’art. 9 della Convenzione di Budapest impone agli Stati firmatari di adottare misure legislative per punire una vasta gamma di condotte legate alla pornografia infantile, tra cui la produzione, distribuzione, possesso e accesso consapevole al materiale pedopornografico attraverso sistemi informatici.

A livello comunitario, la Direttiva 2011/92/UE ha sostituito la Decisione quadro 2004/68/GAI, rafforzando ulteriormente il quadro normativo europeo.

L’Italia, in adempimento di tali obblighi, ha emanato una serie di normative, tra cui la L. 23 dicembre 2021, n. 238, che ha aggiornato la definizione e le sanzioni legate alla pornografia minorile, includendo anche il reato di accesso intenzionale a tale materiale. Le iniziative normative internazionali evidenziano l’impegno globale nella lotta alla pornografia minorile, ma resta cruciale la cooperazione tra Stati per rendere effettive queste misure.

Il contrasto alla pornografia minorile nell’ordinamento italiano

In Italia, la legislazione contro la pornografia minorile ha subito diverse modifiche nel corso degli anni per adattarsi all’evoluzione tecnologica e alle esigenze internazionali. Uno dei pilastri del contrasto a questo fenomeno è rappresentato dall’art. 600-ter del codice penale, introdotto con la L. 3 agosto 1998, n. 269, che punisce le condotte di sfruttamento sessuale dei minori, comprese la produzione, distribuzione e commercializzazione di materiale pedopornografico.

I primi due commi sanzionano la realizzazione di esibizioni o spettacoli pornografici, la produzione di materiale pornografico, l’induzione minori a partecipare a tali esibizioni o spettacoli, e la commercializzazione di tale materiale. Il terzo comma  si riferisce alle condotte di distribuzione, divulgazione, diffusione o pubblicizzazione, anche per via telematica del materiale pedopornografico. Il quarto comma punisce, in via residuale, l’offerta e la cessione ad altri del predetto materiale, anche a titolo gratuito.

Il delitto si presenta come un reato di mera condotta a dolo generico. Sebbene le condotte ivi descritte si riferiscano a diversi “segmenti” nella catena di distribuzione del materiale pedopornografico, la possibilità di un concorso di reati è esclusa dalla presenza di clausole di sussidiarietà.

Nell’applicazione giurisprudenziale dell’art. 600-ter, comma 1, si è discusso circa la necessità di accertare – relativamente alla condotta di produzione – il concreto pericolo di diffusione esterna del materiale. Secondo l’orientamento prevalente il pericolo di diffusione del materiale costituiva il discrimen fra la fattispecie in esame e quella residuale di detenzione di materiale pedopornografico (art. 600-quater c.p.).

Il dubbio è stato risolto dalle Sezioni Unite (Cass. Pen. Sez. I, 17 luglio 2018 n. 47086) nel senso della superfluità di un tale accertamento, sulla base di una interpretazione sistematica ed evolutiva della norma incriminatrice. Trattandosi di una fattispecie posta a presidio della dignità del minore in quanto tale non assume rilevanza il pericolo di diffusione esterna: la lesione al bene giuridico si sostanza nella semplice creazione del materiale.

Con riferimento alla condotta di diffusione del materiale realizzata online, la giurisprudenza si è soffermata anche sul locus commissi delicti affermando che la competenza per territorio è dell’ufficio giudiziario nella cui circoscrizione si trova il dispositivo informatico mediante il quale è stato impartito il comando di immissione in rete del materiale pedopornografico (Cass. Pen. Sez. I, 17 luglio 2018 n. 47086).

Il successivo art. 600-quater c.p. punisce in via residuale chi consapevolmente si procura o detiene materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni diciotto. La differenza tra le due condotte sta nel diverso rapporto tra l’agente e il materiale: mentre il “procurarsi” è una azione istantanea, il “detenere” configura un reato permanente, la cui consumazione coincide con la cessazione della detenzione (Cass. Pen., Sez. III, 23 febbraio 2016 n. 15719).

Le due condotte sono alternative ai fini della commissione delitto: secondo la giurisprudenza prevalente si tratta di due diverse modalità commissive che non possono concorrere tra loro se riguardano lo stesso materiale pedopornografico (Cass. Pen., Sez. III, 25 maggio 2017 n. 38221).

Con la riforma del 2006 il predicato “dispone” è stato sostituito con “detiene” il che pone l’accento sull’irrilevanza del mero accesso a un sito Internet contenente il predetto materiale. La scelta è stata confermata dalla legge del 2012 di ratifica della Convenzione di Lanzarote; il legislatore italiano sembra essersi avvalso della facoltà, prevista dall’art. 20, comma 4, della Convenzione, di non sanzionare l’accesso consapevole, mediante le tecnologie dell’informazione, al materiale in parola.

Sul punto la giurisprudenza aveva precisato che la mera visualizzazione del materiale su Internet, senza la consapevolezza che a seguito della navigazione in rete una copia delle immagini visualizzate viene automaticamente salvata dal browser nella memoria temporanea del sistema informatico (c.d. copie cache), non integra gli estremi dell’art. 600-quater (Cass. Pen., Sez. III, 20 gennaio 2016, n. 12458. Contra v. Cass. Pen., Sez. III, 11 novembre 2010, n. 43246, la quale ha sancito l’equivalenza, ai fini della prova della condotta di detenzione, tra il materiale pedopornografico scaricato ed i files temporanei di Internet).

Soltanto con la L. 23 dicembre 2021, n. 238 la fattispecie è stata modificata per introdurre il delitto di accesso intenzionale a materiale pedopornografico, che si affianca al reato di detenzione di tale materiale già disciplinato dall’art. 600-quater.

Il consenso del minore e la produzione di pornografia minorile “domestica”: evoluzione giurisprudenziale

Tra le questioni più complesse e dibattute in relazione alla pornografia minorile vi è quella del consenso prestato dal minore ultraquattordicenne nella produzione della cosiddetta “pornografia domestica”. Per molti anni, la giurisprudenza ha sostenuto l’ontologica invalidità del consenso del minore, anche se maggiore di quattordici anni, alla produzione di materiale pornografico, soprattutto quando tale produzione avveniva nell’ambito di una relazione con un soggetto maggiorenne.

Il consenso del minore, in altre parole, era considerato irrilevante in quanto incapace di legittimare una condotta che violava la sua dignità e integrità sessuale.

Tuttavia, di recente, la giurisprudenza ha modificato tale orientamento, attribuendo maggiore importanza all’inciso contenuto nel primo comma dell’art. 600-ter e dell’art. 600-quater del codice penale, secondo cui il reato di pornografia minorile si configura quando viene “utilizzato” un minore di anni diciotto.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza del 15 novembre 2018, n. 51815, hanno chiarito che il termine “utilizzazione” deve essere inteso in senso dispregiativo, indicando la trasformazione del minore da soggetto dotato di dignità sessuale in mero strumento per il soddisfacimento dei desideri sessuali di terzi o per ottenere utilità di vario genere.

Questo chiarimento è stato necessario a seguito di un contrasto interpretativo tra diverse pronunce giurisprudenziali. Le Sezioni Unite sono poi intervenute nuovamente con la sentenza del 28 ottobre 2021, n. 4616, per risolvere la questione se la produzione di materiale pornografico con il consenso di un minore ultraquattordicenne, nell’ambito di una relazione con un adulto, costituisca reato di pornografia minorile ai sensi dell’art. 600-ter, primo comma.

Con un articolato iter motivazionale, la Corte ha stabilito che il consenso che un minore ultraquattordicenne può prestare per atti sessuali ex art. 609-quater c.p. si estende anche alla riproduzione visiva di tali atti, purché le immagini o i video siano frutto di una scelta libera e consapevole e siano destinati a uso esclusivo dei partecipanti all’atto. Tuttavia, qualora queste immagini siano destinate fin dall’inizio alla diffusione, si configura comunque il reato di produzione di materiale pedopornografico ai sensi dell’art. 600-ter, primo comma.

Inoltre, le condotte di diffusione e cessione del materiale, disciplinate dal terzo e quarto comma dello stesso articolo, sono sanzionabili anche quando il materiale sia stato inizialmente prodotto in modo legittimo. Questo principio evidenzia come la giurisprudenza abbia voluto porre un freno alla diffusione non autorizzata di contenuti che, sebbene originati con il consenso del minore, possono comunque offendere la sua dignità.

Un altro aspetto importante riguarda la riforma introdotta con la L. 23 dicembre 2021, n. 238, che ha previsto un nuovo reato di atti sessuali con minorenne compiuti abusando della fiducia acquisita o dell’autorità esercitata su di lui. Sarà compito della giurisprudenza futura chiarire se il principio enunciato dalle Sezioni Unite riguardo alla pornografia minorile domestica potrà essere applicato anche alle nuove fattispecie previste dal terzo comma dell’art. 609-quater c.p., relative agli atti sessuali abusivi compiuti in contesti di fiducia o autorità.

Altrettanto dibattuta, soprattutto nella prassi applicativa, è la rilevanza penale del sexting tra minori, ossia la produzione e condivisione consensuale di immagini intime. Alcune pronunce, come quella della Corte di Cassazione, Sez. III, n. 11675 del 18 febbraio 2016, hanno affermato che il sexting tra minori non costituisce reato di produzione di pornografia minorile ai sensi dell’art. 600-ter, comma 4, c.p., a meno che il materiale non venga prodotto da un soggetto terzo rispetto al minore. Secondo questa interpretazione, la mera autoproduzione di immagini intime da parte di un minore non integra gli estremi del reato di pornografia minorile.

Più di recente, però, la Corte di Cassazione ha rivisto questa posizione con la sentenza del 21 novembre 2019, n. 5522, stabilendo che per configurare le ipotesi di reato previste dai commi da due a cinque dell’art. 600-ter c.p., non è necessario che la produzione del materiale avvenga per mano di un soggetto diverso dal minore stesso. In sostanza, per il reato di produzione di pornografia minorile di cui al primo comma dell’art. 600-ter, è richiesta l’alterità tra il soggetto ritratto e l’autore del materiale, mentre per gli altri commi non rileva la modalità di produzione delle immagini, che possono essere sia eteroprodotte sia autoprodotte.

Infine, occorre sottolineare che le condotte di diffusione e cessione del materiale pedopornografico (art. 600-ter, commi 3 e 4), nonché la detenzione dello stesso (art. 600-quater), sono aggravate nel caso in cui il materiale sia di ingente quantità, un’aggravante che sottolinea la gravità del fenomeno e la necessità di una repressione severa e incisiva da parte delle autorità.

Pornografia minorile e child grooming

L’art. 609-undecies del codice penale, introdotto con la L. 1° ottobre 2012, n. 172, ha previsto il reato di child grooming, ossia l’adescamento di minori. Questo reato, inserito per dare attuazione alla Convenzione di Lanzarote, risponde alla necessità di contrastare in modo efficace il fenomeno del child grooming, che prelude spesso a forme più gravi di sfruttamento sessuale, tra cui la produzione di pornografia minorile. Secondo la legge, l’adescamento consiste in “qualsiasi atto volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce”, allo scopo di coinvolgerlo in attività sessuali.

Ciò che rende particolarmente insidioso il reato di child grooming è il fatto che può essere punito anche in assenza di atti esecutivi del reato sessuale.

Si tratta, infatti, di un reato di pericolo concreto, in quanto l’adescamento viene sanzionato anche quando non è stato consumato alcun reato di sfruttamento sessuale vero e proprio. L’art. 609-undecies punisce quindi la condotta preparatoria volta a creare un contatto con il minore per fini illeciti, anticipando la tutela penale.

A differenza di altre forme di reato legate alla pornografia minorile, il grooming è perseguito anche quando non vi sia stata una proposta di incontro tra l’agente e il minore, “anche in assenza di una proposta di incontro con il minore”.

Un aspetto significativo della disciplina del grooming in Italia è che l’utilizzo di internet per adescare minori rappresenta solo una delle modalità di realizzazione del reato, non essendo obbligatoria la mediazione tecnologica.

Tuttavia, l’uso di mezzi telematici può aggravare la condotta, soprattutto se l’autore del reato utilizza tecnologie che rendono difficile la sua identificazione. In questi casi, l’art. 609-duodecies c.p. prevede un aggravamento della pena per l’utilizzo di “mezzi atti ad impedire l’identificazione dei dati di accesso alle reti telematiche”, evidenziando come l’elemento informatico renda più complessa la prevenzione e la repressione del fenomeno della pornografia minorile.

La giurisprudenza italiana ha più volte affrontato il tema del grooming, chiarendo che per configurare il reato è sufficiente che l’agente compia atti volti a guadagnare la fiducia del minore, anche senza una concreta esecuzione di atti sessuali.

Ad esempio, la Corte di Cassazione, Sez. III, nella sentenza n. 26730/2019, ha stabilito che “il semplice utilizzo di mezzi telematici per instaurare un contatto con il minore può essere sufficiente per configurare il reato”, anche se non vi sia stato un incontro fisico.

La L. 23 dicembre 2021, n. 238, ha introdotto ulteriori aggravanti per il reato di grooming, prevedendo un aumento della pena se il reato viene commesso “da più persone riunite, o da persona che fa parte di un’associazione per delinquere e al fine di agevolarne l’attività”.  Parimenti la pena è aumentata se dal fatto, a causa della reiterazione delle condotte, deriva al minore un pregiudizio grave, o se dal fatto deriva pericolo di vita per il minore.

In conclusione, il child grooming costituisce una minaccia crescente nell’era digitale, e l’ordinamento italiano ha adottato misure preventive per reprimere questa condotta, in particolare quando è finalizzata alla produzione o diffusione di materiale pedopornografico. Le nuove tecnologie, pur facilitando la commissione di tali reati, hanno trovato un argine nella normativa italiana, che continua a evolversi per proteggere i minori dagli abusi.

La repressione della pornografia minorile. L’importanza dell’assistenza legale.

La pornografia minorile continua a rappresentare una delle forme più gravi e allarmanti di sfruttamento sessuale. L’evoluzione tecnologica ha indubbiamente amplificato la portata di questo fenomeno, rendendo sempre più facile la creazione e la diffusione di materiale pedopornografico su scala globale.

Le reti telematiche e le piattaforme digitali, con il loro elevato grado di anonimato, offrono un terreno fertile per la proliferazione di contenuti illeciti, ponendo una sfida enorme per le autorità di contrasto. Tuttavia, il quadro normativo italiano, in costante aggiornamento, ha cercato di rispondere in modo efficace a questa minaccia, attraverso una legislazione rigorosa che mira a proteggere i minori sotto ogni aspetto.

L’introduzione di nuove fattispecie di reato, come l’adescamento di minori (child grooming) e l’accesso intenzionale a materiale pedopornografico, riflette l’impegno del legislatore italiano nell’anticipare la tutela penale e nel contrastare anche le condotte preparatorie che possono portare alla realizzazione di crimini più gravi.

Inoltre, la giurisprudenza ha svolto un ruolo fondamentale nell’interpretare e applicare queste normative, adeguandosi all’evoluzione delle tecnologie e delle dinamiche criminali connesse alla pornografia minorile.

Nonostante questi progressi normativi e giurisprudenziali, il problema della pornografia minorile richiede un approccio sempre più integrato, che coinvolga non solo le forze dell’ordine e le istituzioni giudiziarie, ma anche la società civile e gli operatori del settore tecnologico.

La prevenzione e il contrasto di questo fenomeno non possono prescindere da una cooperazione internazionale, poiché il crimine si sviluppa spesso in un contesto transnazionale. Allo stesso tempo, è fondamentale sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza di proteggere i minori dai rischi legati all’uso non consapevole delle tecnologie.

In questo scenario complesso, il nostro studio legale offre un supporto qualificato e dedicato alle vittime di pornografia minorile e ai loro genitori.

Con una profonda conoscenza della materia e un’attenzione costante all’evoluzione normativa e giurisprudenziale, forniamo assistenza legale sia alle vittime sia alle loro famiglie, affiancandole in tutte le fasi del procedimento penale. Il nostro obiettivo è garantire che le vittime ottengano giustizia, tutelando i loro diritti e proteggendo la loro dignità.

 

Rappresentazione del cyberbullismo e dei reati informatici che colpiscono i minori sui social network, minaccia affrontata dallo Studio Legale DagostinoLex a Roma

Pornografia minorile e reati informatici: la minaccia crescente nell’era digitale.  Assistenza legale dedicata per contrastare lo sfruttamento dei minori.